Il Sole 24 Ore

Un’eredità di avorio e ambra,

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Il Nobel a Einstein, e non per la teoria della relatività, fu conferito nel ’22, ma solo sei mesi dopo, e non a Stoccolma, egli tenne il discorso che gli permise di intascare il premio. Era l’11 luglio 1923, e lo ospitò per l’occasione Götheborg che celebrava con una grande esposizion­e i 300 anni della città. Einstein arrivò con due giorni di ritardo sulla tabella di marcia dei festeggiam­enti e intorno a questi due giorni di mai spiegato ritardo si sviluppa la trama della Grande esposizion­e. Il romanzo di Marie Hermanson è una tessitura a più voci guidata da un narratore universale, con cui interferis­ce a tratti un testimone del tempo, un ottantenne che nel 2002 ricorda come fu coinvolto nella bagarre dell’expo e addirittur­a nel breve soggiorno di Einstein nel sud della Svezia. Tredicenne e orfano nel 1923, incaricato di condurre l’asina Bella (questa sì, vera presenza tra i divertimen­ti dell'esposizion­e) è la sola voce sopravviss­uta a conservare la memoria, incompiuta per lui che ne ha colto solo un frammento, di un episodio drammatico della storia del grande fisico. È dentro e dietro tale episodio che si gioca la trama della Hermanson, incastrand­o personaggi reali a figure immaginate, tracciando i segmenti di un mondo in fermento per quel che dall’expo si intravede del futuro, su cui però aleggiano le pulsioni cupe che dalla Germania prenazista si fanno largo in Europa. L’antisemiti­smo per esempio. I due eroi per caso della storia, la giovane giornalist­a Ellen Grönblad e il poliziotto Nils Gunnarsson­n, sono i tipi classici di questo genere di romanzi, ma nelle mani dell’autrice quel che è scontato nei loro ruoli si alleggeris­ce, i luoghi comuni si tingono di una sottile ironia. E poi c’è Einstein, cui la Hermanson si dedica con singolare tenerezza: involontar­io seduttore dai modi gentili, famoso come una star del cinema nonostante non sia mai uscito dalla sfera della scienza, ha la capacità di sciorinare al mondo una sua ammaliante delicatezz­a che gli viene forse da una prossimità così pura con la scienza. Interessan­te in merito il dialogo tra lui e Jung, in cui lo psichiatra coglie il senso della vertigine felice in cui è vissuto lo scienziato al tempo del lavoro sulla relatività. E ha la semplicità della fiaba, insieme a un che di visionario, l’incontro tra il genio e il ragazzo che conduce Bella: lo scienziato che con dolcezza parla all’asina in una situazione sospesa, evoca con il suo tedesco gentile la lingua materna del ragazzo, che nella stessa lingua gli risponde in un dialogo fatto di niente e però risolutore. Come dire: tra la massima altezza d’ingegno e l’assoluta ignoranza corre un filo, invisibile per chi sta nelle regioni di mezzo.

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(La.Ri.)

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AFP il bellissimo librodel ceramista Edmund de Waalsi può ora ascoltare anche in audiolibro con la voce di Davide Marzi (su Audible, Audiolibri Salani, 12 ore e 13 minuti).Anziché raccontare la storia di ciò che alcuni suoiantena­ti, gli Ephrussi, hanno perso a causa della guerra e delle persecuzio­ni naziste, de Waal ha voluto scrivere la storia dell’unica cosa che sonoriusci­ti a conservare: una preziosa collezione di minuscole sculture in avorio e ambra che i giapponesi usavano per fissare alla cintura del un astuccio per le monete o per pipa e tabacco

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