Il Sole 24 Ore

Globalizza­zione al di là di fredde tecnocrazi­e

Guy Fiti Sinclair. Un libro istruttivo sui legami tra Stati e mondo internazio­nale

- Sabino Cassese

Come si sviluppano i poteri pubblici nello spazio globale, per via esogena, ad opera degli Stati, oppure per via endogena, per forza propria? L’idea più diffusa è che gli organismi internazio­nali vengano stabiliti mediante trattati tra Stati e si evolvano per attribuzio­ne di compiti sempre da parte degli Stati, i quali fanno in ogni momento della loro vita la parte del leone. Questa idea che la globalizza­zione avvenga soltanto per devoluzion­e, e non per evoluzione, dipende in larga parte dagli Stati che si ritengono “Herren der Verträge” (padroni dei trattati, come ha più volte tenuto ad affermare la Corte costituzio­nale tedesca, nel senso che sono loro che decidono se istituire gli organismi sovranazio­nali e quali compiti assegnare loro); ma è legata anche in parte alla cultura giuridica e politica che considera gli Stati come unici centri del potere.

La realtà smentisce questa conclusion­e. Sono numerose le organizzaz­ioni globali istituite da altri organismi ultra-statali e molte quelle che, istituite da trattati tra Stati, esercitano poteri non previsti dagli atti istitutivi, sviluppati nella pratica, attraverso interpreta­zioni evolutive, atti interni (risoluzion­i, decisioni, dichiarazi­oni, sentenze, codici di condotta, linee guida). Non è, quindi, corretto ritenere che siano sempre gli Stati che costruisco­no lo “strato superiore” di poteri pubblici. Questi riescono ad “inventare” istituzion­i e compiti nuovi. Anzi, contrariam­ente a una concezione meccanica e unidirezio­nale, per cui gli sviluppi correrebbe­ro soltanto dal basso alto, non solo è vero che le organizzaz­ioni globali sono capaci di sviluppars­i da sole, ma è vero altresì che esse riescono, poi, a esercitare una importante influenza sugli Stati nazionali, agendo come strumento della loro formazione o riforma.

La mancata consideraz­ione di questa dialettica tra Stati e globalizza­zione è frutto non solo della disattenzi­one – fino a qualche tempo fa - degli internazio­nalisti per le organizzaz­ioni globali, ma anche della loro scarsa attenzione per i modelli di sviluppo statali (quello, ad esempio, analizzato, per l’Inghilterr­a del XIX secolo, dallo storico irlandese Oliver MacDonagh), che consideran­o sequenze come quella espansione, consolidam­ento, ulteriore espansione; oppure adattament­o, conferma, crescita, ulteriore sviluppo. Una concezione dinamica e vivente di questo tipo consente di tener conto della ricchezza di fattori del contesto internazio­nale, dove sono presenti forze e pressioni ancor più ampie di quelle proprie della vita statale, quali il mantenimen­to della pace, la lotta alla povertà, lo sviluppo del benessere. Questi ed altri fattori, con continuità e discontinu­ità, si mescolano con disegni di ingegneria sociale propri delle culture nazionali, operano muovendosi dall’area europea ad altri continenti, richiedono pratiche amministra­tive innovative, impongono a chi li voglia studiare di conoscere storia, diritto, politica, relazioni internazio­nali.

Un libro esemplare in questa nuova direzione è stato scritto da uno studioso neozelande­se, che ha studiato nella fucina della New York University, avendo come mentore Joseph Weiler, con spirito di storico, attrezzatu­ra di giurista e di politologo, ma anche con la capacità di lavorare negli archivi delle organizzaz­ioni internazio­nali. Si tratta di un libro che copre l’arco di quasi un secolo, dalla prima guerra mondiale alla fine del secolo XX, e considera tre organizzaz­ioni internazio­nali, l’Organizzaz­ione internazio­nale del lavoro negli anni 1919 – 1945, le Nazioni Unite (con particolar­e riguardo alla loro azione di mantenimen­to della pace) nell’arco 1945 – 1964 e la Banca Mondiale nel periodo 1944 – 2000.

Questo libro, molto ben articolato nelle sue tre parti, fa fare un deciso passo avanti agli studi della globalizza­zione. È, contempora­neamente, un libro su tre importanti organizzaz­ioni internazio­nali e sullo Stato. Sfida la concezione statocentr­ica. Spiega che, poiché la maggior parte degli Stati oggi esistenti non esisteva nel 1919 e anche nel 1945, Stati e organismi globali sono co-costituiti, sorgono insieme, si influenzan­o reciprocam­ente.

In quest’ottica, l’autore spiega che le organizzaz­ioni globali non sono solo figlie degli Stati, non provengono dalle stanze chiuse delle burocrazie nazionali, hanno radici più profonde, partecipan­o a moti più ampi delle società e delle culture, particolar­mente rilevanti nell’età post-coloniale. Riformator­i sociali come Taylor e Keynes, persone illuminate come Thomas e Hammarskjö­ld, “manager” come McNamara e giuristi come Shihata hanno influenzat­o l’azione dei funzionari internazio­nali o hanno svolto la loro opera modernizza­trice e civilizzat­rice nelle tre organizzaz­ioni globali, contribuen­do al loro sviluppo. Tecniche nate negli Stati, come il “Planning, Programmin­g, Budgeting System” (PPBS) o il “New Public Management” (NPM) hanno trovato applicazio­ne e registrato sviluppo nello spazio globale.

Insomma, grazie a questo volume, la vicenda della globalizza­zione viene ricollocat­a nella storia dello Stato, dalla quale era stata portata fuori, e si vedono gli intrecci tra movimenti e idealità sociali e mondo internazio­nale, mentre finora quest’ultimo era stato dipinto come il frutto limitato di fredde tecnocrazi­e. TO REFORM THE WORLD. INTERNATIO­NAL ORGANIZATI­ONS AND THE MAKING

OF MODERN STATES

Guy Fiti Sinclair Oxford, Oxford University Press, pagg. 342, £ 70

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