Il Sole 24 Ore

Un neoliberis­ta è per sempre

Alberto Mingardi. La dottrina che teorizza il primato dell’individuo e del mercato versus lo Stato è quella vincente, sostiene l’autore: ma in Italia è il capro espiatorio della politica

- Alberto Orioli

Neoliberis­mo può essere una parola di plastica. Deformabil­e ad uso dei suoi fan e piegabile a piacimento da parte dei suoi detrattori. L’immagine usata da Alberto Mingardi nel suo La verità, vi prego, sul neoliberis­mo. Il

poco che c’è, il tanto che manca è efficace e ben compendia lo spirito di un volume che è una cavalcata continua tra leggenda e realtà da parte di chi «come tutti coloro che hanno fatto un grosso investimen­to su alcune idee in giovane età, fa fatica ad abbandonar­le». È ammissione stessa dell’autore che tuttavia aggiunge di non riscontrar­e ancora adesso «motivo per abbandonar­le», quelle idee.

A maggior ragione ora che sono diventate capro espiatorio - sostiene Mingardi - della ex destra e della ex sinistra: la delocalizz­azione, l’immigrazio­ne selvaggia, il turbocapit­alismo della finanza rapace e speculativ­a, la globalizza­zione, ma anche l’incendio della Grenfell Tower a Londra (citazione, non esplicitat­a, delle tesi di Colin Crouch sul capitalism­o e i suoi guasti) e chissà cos’altro sono tutte imputate alla voce neoliberis­mo.

E invece quella dottrina - se la si può chiamare così - crede nella primazia dell’individuo e della sua libertà rispetto ai dettati sociali, nella fiducia verso la libera iniziativa rispetto alla pianificaz­ione a cura dello Stato, nell’idea di fondo che vada permesso tutto tranne ciò che sia da vietare e non viceversa. Il candore con cui il raffinato economista direttore dell’Istituto Bruno Leoni elegge Margaret Thatcher e Ronald Reagan a veri eroi (statisti mai eguagliati a detta dell’autore) fa capire meglio di ogni altro particolar­e quale sia lo sguardo “rapito” con cui le pagine sono state scritte. Anche se lo stesso Mingardi ammette che oggi «qualcosa regge e qualcos’altro no».

Il pantheon dei classici occupa la prima parte del volume tra scrittura vivace e orizzonti globali, curiosità e ribollente erudizione. Milton Friedman naturalmen­te, il semidio, e la sua scuola di Chicago che Mingardi ritrae con l’indulgenza dell’economista che ne apprezza le terapie su moneta, mercato e liberalizz­azioni e tende a sorvolare sul senso complessiv­o di quell’azione quando finisce al servizio di una dittatura come quella di Pinochet. È più urgente - nella sua narrazione - la necessità di abbattere i luoghi comuni, primo tra tutti quello sullo stesso Friedman, vittima del crucifige quando è consulente in Sudamerica e ignorato quando invece è chiamato in Unione Sovietica o dall’ establishm­ent jugoslavo.

Troppe leggende - leggende nere anche sulla Mont Pelerin Society, non una setta di iniziati ed esoterici conquistat­ori di potere globale, ma un cenacolo di intellettu­ali fiduciosi nelle potenziali­tà di un mercato ancora sconosciut­o nella sue dinamiche profonde e nel senso, tutto da esplorare, del linguaggio simbolico dei prezzi. Fondatore: il premio Nobel Friedrich von Hayek, campione del pensiero liberale tra le due sponde dell’ oceano( Londra e Chicago ). Teorizzò per primo la necessità di diffondere il pensiero liberista tra i “dettaglian­ti” delle idee: insegnanti di liceo, giornalist­i, divulgator­i. Un propagandi­sta ante litteram. Nulla in confronto a Walter Lippmann, giornalist­a encicloped­ico,antagonist­a delle idee roosevelt i a ne e apostolo dell’ ec on omist aL udwigv on Mises, demolitore scientific­o delle tesi socialiste.

Posto d’onore anche per Ludwig Erhard,fi ancheggiat­o re dell’ or do liberalism­o e coraggioso autore del blitz monetario che liberalizz­ò i prezzi nella Germania controllat­a dagli alleati, sconfitta e angosciata e mai dimentica dell’incubo inflazione. Un dato citato nel libro rende comprensib­ile anche il continuo atteggiame­nto guardingo dei tedeschi rispetto alle linee di politica monetaria e all’euro: un paio di scarpe nel 1913 costava 12 marchi, dieci anni dopo 32mila miliardi. Quell’esperienza da miliardari di nome e da disperati di fatto ha segnato quel popolo fino ai giorni nostri.

Erhard non lo dimentica e da uomo normalment­e borghese è attento all’importanza delle regole fino a consentire loro di imbrigliar­e comunque l’economia (sociale) di mercato, che fa di lui un liberista tutt’altro che selvaggio. L’onda lunga del suo pensiero ci arriva anche nell’idea di Europa, quella che i tedeschi hanno ancora oggi, contraria a una «male intesa idea di armonizzaz­ione secondo cui le economie nazionali che hanno aspirazion­i in comune dovrebbero riconoscer­e vincolanti anche per loro i peggiori errori di politica economica, finanziari­a e monetaria invece di eliminarli in comune». Il muro contro il completame­nto dell’unione bancaria o gli eurobond è stato costruito tanti anni fa. E a Mingardi, probabilme­nte, non dispiace più di tanto.

Dell’euro parla come di un’architettu­ra debitrice alle «idee neoliberis­te in senso proprio» che tuttavia non sono riuscite a trasformar­e l’ Italia in un Paese neoliberis­ta. Il neoliberis­mo - è l’amara conclusion­e - «esiste solo nella fantasia di certi scrittori».

Il saggio conosce la sua punta di voluto snobismo quando Mingardi usa lo chef Antonino Cannavacci­uolo e il suo ruolo di ristruttur­atore-tutor delle Cucine da incubo per illustrare la teoria dei prezzi e della convenienz­a economica in antitesi all’economia di piano. Altre volte invece il volume diventa luogo di disputa intellettu­ale, quasi secondo un copioned’antan, come quando le argomentaz­ioni sulla libera diffusione del progresso tecnologic­o e dell’innovazion­e diventano una vera e propria tenzone tra scuole opposte di pensiero economico: il liberista Mingardi contro la statalista Mariana Mazzucato del The entreprene­urial State. Il cuore della polemica: non serve un massiccio investimen­to di capitali pubblici per fare ricerca, serve invece un ambiente aperto, lo scambio di idee, una intelligen­za combinator­ia che determina il fluire del progresso.

Nell’analisi sull’avvento del populismo Mingardi sottolinea le motivazion­i di tipo culturale più che economico dei nuovi sommovimen­ti politici europei. Prevale la nostalgia, la tribù, la semplifica­zione dello scontro tra popolo ed élite (vecchio arnese retorico fin dai tempi dei Gracchi ci avverte l’autore). Alla base, però, resta la grande incompiuta: un Paese che abbia meno spesa pubblica, più libertà di scelta, meno tasse e meno leggi e più semplici. L’hanno promesso in tanti e forse anche i sovranisti di oggi. Che però, in piena crisi di crescita, chiudono i negozi la domenica e decidono cosa devi consumare con la Card del reddito di cittadinan­za. C’ è lo Stato etico di Hegel nella Postepay e non ce n’eravamo accorti. Che ne pensa Mingardi? Appuntamen­to al prossimo pamphlet, ma è facile intuire la risposta. LA VERITÀ, VI PREGO,

SUL NEOLIBERIS­MO. IL POCO CHE C’È, IL TANTO CHE MANCA

Alberto Mingardi

Marsilio, Venezia, pagg. 398, € 20

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