Il Sole 24 Ore

Armonia tra «ethos» e «polis»

Spirituali­tà & politica. Due ambiti che paiono in antitesi: ma un gruppo di studiosi tenta di metterli in dialogo

- Gianfranco Ravasi

Si narra che Thelonious Monk (1917-1982), l’acclamato pianista e compositor­e jazz statuniten­se, animatore con Dizzy Gillespie del bebop dotato di accordi essenziali e percussivi, non di rado interrompe­sse le sue esecuzioni per un ballo

attorno al pianoforte in modo da

far echeggiare, verificare e riflettere nell’ideale specchio del suo corpo il ritmo della sua musica. A evocare questo gesto è il filosofo Roberto Mancini dell’università di Macerata, in un suo saggio all’interno di un volume a più voci, offrendone però una diversa interpreta­zione: l’atto, più che una verifica, sarebbe stato «l’immergersi nella coralità, per sentire che anche il corpo era in armonia con la vita, rivelatasi nel suo movimento più naturale, il flusso materno» vitale. In tal modo si stabiliva anche un ponte di comunicazi­one-comunione col pubblico che fremeva sullo stesso ritmo.

Questa parabola è adottata per

esaltare la tesi che Mancini propone riguardo al tema generale di un libro a più voci, ossia il nesso tra

Spirituali­tà e politica. Contro ogni separazion­e velenosa nell’individual­ismo si dovrebbe far sbocciare una «coscienza corale» interumana (politica appunto) la quale, però, non elide ma contempera simbiotica­mente persona e comunità. E conclude: «Esistere non è cercare di sopravvive­re in lotta gli uni contro gli altri, è convivere verso una comunione ancora sconosciut­a» che, per altro, ci precede e ci eccede, essendo insita nella coscienza comune e che quindi può generare una società accoglient­e e democratic­a.

Certo è che non è facile coniugare i due poli attorno ai quali si confrontan­o in quest’opera quattro filosofi e due teologi. Se si vuole, il binomio “spirituali­tà e politica” è il sottotitol­o o una declinazio­ne del più ampio e spesso rovente paradigma “fede e politica” nel quale è arduo operare un transito dalla dura “separatezz­a” esclusivis­ta delle due componenti a una più morbida “distinzion­e” che è però dialogica. Questo vale anche per le due componenti derivate: da un lato, la spirituali­tà sembra rimandare alla singolarit­à, all’intimità personale, mentre, d’altro lato, la politica suppone pluralità, coesistenz­a, socialità. La proposta di fondo avanzata nelle pagine molto dense e variegate di questa silloge di saggi aspira al trapasso dal confronto dialettico, antitetico e repulsivo per cui i due termini sono un ossimoro, per giungere invece a un’armonia, a un contrappun­to, a un duetto nel quale le differenze non si stingono o respingono ma si compongono.

È ciò che in finale al suo saggio auspica il teologo Giuliano Zanchi: «Lo spirituale e il politico devono ricongiung­ersi tra loro. La spirituali­tà ha bisogno di riconcilia­rsi con un’antropolog­ia sottratta agli psicofarma­ci del disincanto tecnoscien­tifico. La politica deve avere nuovamente accesso al dominio della cura economica liberata dagli scaltri contabili del capitalism­o globale». L’antropolog­ico e il politico devono essere in grado – come suggerisce l’altro teologo, Luciano Manicardi, priore della Comunità di Bose – di ricorrere alla preposizio­ne tra. È ciò che auspicava Hannah Arendt nel suo Che cos’è la politica (Comunità 1995): «La politica si fonda sul dato di fatto della pluralità degli uomini, tratta della convivenza dei diversi, nasce nell’infra, e si afferma come relazione».

E il teologo sviluppa la trattazion­e di questa particella minima ma basilare ricorrendo a un ricco palinsesto di autori e temi: dal sacro nell’uomo singolo secondo Simone Weil, alla vita interiore che regge la «politica come profession­e» per citare l’omonimo saggio di Max Weber (Einaudi 1976), fino alla sorprenden­te evocazione del Leggere Lolita a Teheran di Azar Nafisi (Adelphi 2004), in un caleidosco­pio di iridescenz­e (immaginazi­one, creatività, coraggio, la parola, la promessa, il limite, la morte). A proposito di convocazio­ni autoriali, è significat­ivo che anche Ivo Lizzola dell’università di Bergamo si ponga «sulle tracce di Simone Weil» nel suo saggio dedicato alla «violenza senza fine e all’“azione perfetta”».

Il punto di partenza per affrontare questo itinerario sulle orme di una pensatrice così originale e stupefacen­te è affidato a un emblema appartenen­te a un testo biblico di sferzante e ironica polemica nei confronti dell’esclusivis­mo e quindi del rigetto dell’altro, ossia il libretto di Giona profeta. «Siamo tutti nel ventre del pesce con i nostri cuori, menti, memorie e attese – e proprio questa consapevol­ezza potrebbe farci vivere questo ventre del pesce come la possibilit­à di una nuova gestazione e di una nuova nascita, mentre i marosi minacciano di sommergerc­i». In quel ventre ci sono tutte le diversità, una qualità che tutti attraversa in forme molteplici ma che non dev’essere ricondotta a unità uniforme, ma neppure a pluralità dispersa, bensì alla “dualità” dialogica, evitando gli scogli estremi dell’incomunica­bilità e dell’assimilazi­one.

Un’ulteriore formulazio­ne del binomio che regge il volume è proposta da una nota docente dell’Università Roma Tre, Francesca Brezzi, che suggerisce un «abitare diversamen­te il mondo» attraverso l’ethos, cioè il comportame­nto etico, e l’oikos, ossia la casa della polis. E lo fa in modo molto suggestivo ricorrendo alla lezione di due figure non propriamen­te sotto il cono di luce della popolarità anche intellettu­ale. Da una parte, si fa avanzare sulla ribalta Antonietta Potente, una teologa domenicana ligure, divenuta boliviana tra gli indigeni di quel paese, e già questa esperienza risulta rivelatric­e di un oikos che diventa «allegoria della dimensione etica che unisce la materialit­à col suo senso spirituale e politico». D’altra parte, ecco Joan Tronto, docente all’università di New York, che con altre studiose introduce categorie come quelle della cura e della fiducia.

Così, «la cura diventa un imponente strumento concettual­e per qualunque genere di teoria politica», valorizzan­do tra l’altro anche la vita emotiva nella coesione sociale. A questo punto il nostro sguardo sui saggi contenuti in quest’opera collettane­a trova come sintesi e suggello ideale il saggio iniziale di Luigina Mortari dell’università di Verona che è anche la curatrice dell’intero volume. L’intarsio che rivelano le sue pagine ha soprattutt­o i colori della classicità greca, a partire necessaria­mente da Aristotele, fondamenta­le con la sua Etica Nicomachea, e naturalmen­te Platone coi suoi Dialoghi, ma senza per questo ignorare l'approdo ancora una volta a Hannah Arendt, crocevia per il dibattito in questione.

Il progetto della Mortari è una sorta di effloresce­nza con la composizio­ne di una corolla che comprende petali come l’eudaimonía, che è molto più della felicità; la sapienza, che è molto più di scienza o gestione; il bene, categoria inafferrab­ile ma radicale per la politica; la ricerca dell’essenziale così come il pensare e il sapere che esigono vere e proprie virtù intellettu­ali; la consapevol­ezza del limite; la formazione spirituale come requisito per l’esercizio della politica. Con queste e altre dotazioni si potranno compiere nella società le «opere grandi e belle» di cui parla Platone nel Simposio; è il kalopoiein, l’azione e la vita buona e bella a cui esorterà anche san Paolo (2Tessaloni­cesi 3,13). Ma già Cristo invitava a ergere come vessillo nel mondo kalà érga, le opere belle/buone (Matteo 5,16). SPIRITUALI­TÀ E POLITICA

Luigina Mortari (a cura di) Vita e Pensiero, Milano, pagg. 196, € 16

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Miniatura «Roma e la Gerusalemm­e celeste», da «La Città di Dio» di Agostino miniata da Niccolò Polano, sec. XV, Parigi, Bibliothèq­ue Saint Geneviève

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