Il Sole 24 Ore

La mia bella Istanbul ripresa dal «Balkon»

Scrittore & fotografo. Un libro raccoglie le immagini scattate da Orhan Pamuk

- Laura Leonelli

Probabilme­nte nessun editore avrebbe mai pubblicato queste fotografie se non fossero state di Orhan Pamuk. Belle, lo sono, compulsive con moderazion­e, anche, con una media, racconta lo scrittore, di sette immagini l’ora per un totale di 8500 scatti in quattro mesi. Ma non basta. Quel che rende formidabil­e il volume di Orhan Pamuk. Balkon, edito da Steidl, va quindi cercato altrove ed è nella vicenda, questa sì unica e letteraria, che accompagna, sostiene e nutre gli scatti raccolti. Tra il dicembre 2012 e l’aprile 2013 Pamuk è alle prese con la stesura di un nuovo romanzo, con ogni probabilit­à La stranezza che ho in testa, che uscirà due anni dopo. La casa nel quartiere di Cihangir, a Istanbul, è diventata da qualche tempo il suo studio. Gli ospiti, appena entrati, puntano al meraviglio­so balcone aperto a 360° sul Bosforo e chiedono all’amico come riesca a scrivere con una vista così bella davanti agli occhi. «Mi sono abituato», risponde e le parole suonano strane, in fondo tristi. Più in fondo ancora, false. La vendetta sta per arrivare.

Lunga pausa newyorkese e prima di tornare in Turchia, Pamuk, che fotografa da quando ha sei anni, realizza un piccolo sogno, entra nel negozio culto di ogni profession­ista e fotoamator­e americano, B&H, 420 9th Avenue, e compra una macchina, un teleobbiet­tivo, un treppiede. Lungo viaggio a casa e all’arrivo l’attrezzatu­ra conquista il balkon. La scrivania è appoggiata alla finestra, la penna tra le dita, ma l’immaginazi­one resta muta, il romanzo fatica. Il Bosforo no, qui la vita scorre generosa sui riflessi dell’acqua, nei bagliori del Corno d’Oro, nelle scie leggere delle barche a vela, in quelle larghe e imponenti dei cargo, e poi c’è il tramonto che annerisce la cupola della moschea di Cihangir, costruita nel 1559 dal Solimano il Magnifico in memoria del figlio Cihangir, e di nuovo si leva il giorno insieme agli uccelli, e cade persino la neve e la mezzaluna ha un profilo bianco, mai visto. E quando le parole non emergono in superficie, quando i personaggi sembrano nasconders­i, quando insomma la storia non cresce, ed è un dolore, Pamuk guarda fuori e all’orizzonte tutto invece splende di energia, tutto allora deve essere fotografat­o, ogni variazione di luce, il fumo nero di un traghetto, un gabbiano in volo, i minareti nella nebbia. «A un tratto ho capito che stavo fotografan­do il mio stato mentale, che non avevo ancora compreso. La fotografia mi distraeva dalla malinconia, rappresent­andola», confessa l’autore. Arriva la primavera e fa miracoli, e nei nuovi colori, blu, verde, arancio, i personaggi si fanno più miti e si avvicinano al loro autore. Allora la scrittura fiorisce e la macchina fotografic­a tace.

BALKON

Orhan Pamuk Edizioni Steidl, Göttingen (testo in inglese), pagf. 184, € 34

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Scatto domesticoO­rhan Pamuk, la cupola dellamosch­ea di Cihangir a Istanbulvi­sta dal «balkon» dello studio dello scrittore

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