Corpi malavitosi nel cuore di una santa
Ogni anno, dal 3 al 6 febbraio, Catania celebra Sant’Agata martire, patrona della città, cheintornoallametàdelIIIsecolosifecetorturareestrapparelemammellepiuttostocherinnegarelapropria fedeinCristoecedereallemolestelusinghe del proconsole romano Quirino.
Nei giorni scorsi, in occasione delle
celebrazioni, il coreografo Roberto
Zappalà ha riproposto al Teatro Verga di Catania per la stagione dello Stabile, che lo coproduce insieme a Scenario Pubblico, uno spettacolo che aveva realizzato dieci anni fa: A. Semu tutti devoti
tutti?, dedicato al culto popolare della santa. Scritto insieme a Nello Calabrò e musicato dal vivo dall’ensemble dei Lautari, lo spettacolo non è solo un avvincente pezzo di teatrodanza, nel quale gli otto bravi interpreti alternano la solenne lentezza processionale ad esplosivi impeti gestuali; è anche uno studio antropologico sulle degenerazioni trashiste della festa, che ha smarrito la sua natura spirituale e devozionale, nonché un potente atto di accusa contro le ingerenze criminose nell’organizzazione, che sono state oggetto di un procedimento giudiziario concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati.
Nella trasposizione coreografica, il culto di Sant’Agata è un affare per soli uomini. In una scena delimitata da imponenti pareti di reggiseni bianchi, campeggia uno schermo che rimanda ossessivamente le immagini di tifosi allo stadio; la santa si riduce a una figura passiva, nuda, pietosa, che gli uomini trasportano come un animale senza vita, manipolandola, palpandola, esibendola come fosse un trofeo, per poi esporla con le spalle al pubblico in una nicchia tra i reggiseni. Sacro e profano convivono nell’ambiguità del nudo femminile che si offre al martirio.
Mentre incalzano le musiche, tra cui una chicca in video di Carmen Consoli che rielabora alla chitarra elettrica il canto devozionale delle monache benedettine, i membri di questa comunità un po’ barbarica si fronteggiano con violenza, restituendo il nonsenso di una fede degenerata nella ritualità pagana, nella lotta, nella soddisfazione di bassi istinti e nell’egoistica affermazione personale. Citando l’episodio biblico della cacciata dei mercanti dal tempio e coniugando musica e iconografia pop con una stilizzata prossemica che rimanda ai rituali cattolici della penitenza, dell’espiazione e della devozione, Zappalà costruisce un affresco potente e a tratti disturbante, nel quale l’aura della sacralità contrasta con la violenza delle immagini e dei gesti. Proprio l’indomani della processione e in concomitanza con il debutto dello spettacolo, si sono riaccesi i riflettori sulle interferenze malavitose nell’organizzazione della festa di Sant’Agata, sfociate in una dura condanna del parroco della Cattedrale, che è stato bersaglio di pesanti intimidazioni insieme a una coraggiosa giornalista. Se il teatro deve saper cogliere e trasfigurare poeticamente fatti e misfatti del nostro tempo, A. Semu tutti devoti tutti? è un’opera esemplare.