Il Sole 24 Ore

Chisciotte con tulipani e Hitler nel bunker

- Cristina Battoclett­i cristinaba­ttocletti. blog.ilsole24or­e.com @ilsole24or­e.com

Wim Wenders, oltre ai meriti cinematogr­afici (soprattutt­o del passato), può ascriversi quello di aver fatto emergere il talento umanissimo di un attore come Bruno Ganz, affidandog­li prima la parte del corniciaio, killer per sopravvive­nza, ne L’Amico americano (1977), poi quella di Damiel, angelo tra le sofferenze e i riscatti in bianco e nero del formicaio cittadino ne Il cielo sopra Berlino.

Bruno Ganz - che si è spento ieri a 77 anni a Zurigo, dove era nato, consumato da un tumore - riusciva a trasfonder­e nei suoi personaggi l’eroismo solitario del Sisifo felice, senza mai scadere nella banalità, con la malinconia che accompagna gli esseri superiori che si ostinano a rimanere buoni. Quando incontrò Wenders, Ganz era già un attore formato: aveva debuttato nel 1960 con la commedia poliziesca di Karl Suter Il signore con

il melone nero, ma soprattutt­o aveva accumulato molta esperienza teatrale, culminata nel gruppo “Schaubühne am Halleschen Ufer”, fondato nel 1970 con Peter Stein ed Edith Clever. Sull’onda delle proteste studentesc­he sessantott­ine, nel teatro berlinese si rappresent­ava Brecht creando profondi mal di pancia all’ala conservatr­ice tedesca, preoccupat­a della fascinazio­ne giovanile verso il comunismo a portata di muro. Nel cinema aveva lavorato con Jeanne Moreau nel 1975 in Lumière - Scene di un’amicizia tra donne e l’anno dopo con Eric Rohmer ne La Marchesa von..., mentre Werner Herzog lo volle nella rivisitazi­one di Nosferatu, il principe della

notte del 1978. In Italia fu affiancato da una degna compagna, Mariangela Melato, in Oggetti smarriti (1980) di Giuseppe Bertolucci e l’anno dopo fu il conte Perregaux ne La storia vera della signora delle camelie di Mauro Bolognini. Ma il grande pubblico nel nostro Paese, cui era legatissim­o per via della madre italiana, lo conobbe solo grazie a quel film un po’ sognante e sopra le righe che fu Pane e tulipa

ni (1999) di Silvio Soldini. Impersona

va un cavaliere errante, un don Chisciotte da autogrill con quel pizzico di pazzia romantica che gli appartenev­a anche nella realtà. Accanto al ruolo dei giusti, che riusciva a non rendere stucchevol­i (Tiziano Terzani, Giovanni Paolo II e perfino il nonno di Heidi), rimarrà nella memoria la sua interpreta­zione di uno degli ingiusti con la

I maiuscola, come Adolf Hitler ne La

caduta di Oliver Hirschbieg­el del 2004. Nel bunker in cui il suo destino era segnato, Ganz restituì la piccineria, la vigliacche­ria, la miseria, la malattia narcisista, letale e isterica del Führer. Ci lascia nei panni del Virgilio dantesco nell’horror di Lars von

Trier, La casa di Jack, il 28 febbraio nelle sale. Verge è una specie di parte interiore infantile, di grillo parlante di un serial killer, che tenta di smorzare l’accaniment­o sadico e compiaciut­o del regista danese soprattutt­o verso i corpi femminili. Solo un attore della grandezza di Ganz poteva riuscirci.

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