Chisciotte con tulipani e Hitler nel bunker
Wim Wenders, oltre ai meriti cinematografici (soprattutto del passato), può ascriversi quello di aver fatto emergere il talento umanissimo di un attore come Bruno Ganz, affidandogli prima la parte del corniciaio, killer per sopravvivenza, ne L’Amico americano (1977), poi quella di Damiel, angelo tra le sofferenze e i riscatti in bianco e nero del formicaio cittadino ne Il cielo sopra Berlino.
Bruno Ganz - che si è spento ieri a 77 anni a Zurigo, dove era nato, consumato da un tumore - riusciva a trasfondere nei suoi personaggi l’eroismo solitario del Sisifo felice, senza mai scadere nella banalità, con la malinconia che accompagna gli esseri superiori che si ostinano a rimanere buoni. Quando incontrò Wenders, Ganz era già un attore formato: aveva debuttato nel 1960 con la commedia poliziesca di Karl Suter Il signore con
il melone nero, ma soprattutto aveva accumulato molta esperienza teatrale, culminata nel gruppo “Schaubühne am Halleschen Ufer”, fondato nel 1970 con Peter Stein ed Edith Clever. Sull’onda delle proteste studentesche sessantottine, nel teatro berlinese si rappresentava Brecht creando profondi mal di pancia all’ala conservatrice tedesca, preoccupata della fascinazione giovanile verso il comunismo a portata di muro. Nel cinema aveva lavorato con Jeanne Moreau nel 1975 in Lumière - Scene di un’amicizia tra donne e l’anno dopo con Eric Rohmer ne La Marchesa von..., mentre Werner Herzog lo volle nella rivisitazione di Nosferatu, il principe della
notte del 1978. In Italia fu affiancato da una degna compagna, Mariangela Melato, in Oggetti smarriti (1980) di Giuseppe Bertolucci e l’anno dopo fu il conte Perregaux ne La storia vera della signora delle camelie di Mauro Bolognini. Ma il grande pubblico nel nostro Paese, cui era legatissimo per via della madre italiana, lo conobbe solo grazie a quel film un po’ sognante e sopra le righe che fu Pane e tulipa
ni (1999) di Silvio Soldini. Impersona
va un cavaliere errante, un don Chisciotte da autogrill con quel pizzico di pazzia romantica che gli apparteneva anche nella realtà. Accanto al ruolo dei giusti, che riusciva a non rendere stucchevoli (Tiziano Terzani, Giovanni Paolo II e perfino il nonno di Heidi), rimarrà nella memoria la sua interpretazione di uno degli ingiusti con la
I maiuscola, come Adolf Hitler ne La
caduta di Oliver Hirschbiegel del 2004. Nel bunker in cui il suo destino era segnato, Ganz restituì la piccineria, la vigliaccheria, la miseria, la malattia narcisista, letale e isterica del Führer. Ci lascia nei panni del Virgilio dantesco nell’horror di Lars von
Trier, La casa di Jack, il 28 febbraio nelle sale. Verge è una specie di parte interiore infantile, di grillo parlante di un serial killer, che tenta di smorzare l’accanimento sadico e compiaciuto del regista danese soprattutto verso i corpi femminili. Solo un attore della grandezza di Ganz poteva riuscirci.