Rinascono le rovine dell’utopia di Fidel
Cuba. Nell’anno in cui l’Avana compie 500 anni e il Paese affronta il referendum costituzionale l’Italia contribuisce con fondi e assistenza tecnica al recupero delle «Escuelas de Arte» volute da Castro
L’Avana è un dolce collirio per i nostri occhi occidentali. Nessun neon sfavillante, nessun imponente cartellone con la borsetta del momento. Tra i vicoli della città, trionfa la genuinità: le facciate ambrate dei palazzi barocchi dell’Avana Vieja, le forme déco di certe piazze e i cubani, nella loro essenziale e prepotente bellezza.
Nulla, nessuno slogan pubblicitario, rovina questa invenzione del creato. Neppure i manifesti - per la verità manifestini, perché tutto costa -, che ricordano il referendum del 24 febbraio. Mi Voluntad, mi Constitución e La Constitución de un país es la voz del pueblo: i cubani sono chiamati a votare la nuova Costituzione varata dal Parlamento a dicembre. Nessuna novità sostanziale, il testo ribadisce il carattere socialista di Cuba, il ruolo di guida del Partito comunista, introducendo cambiamenti nella struttura dello Stato, ampliando lo spazio per gli investimenti esteri e riconoscendo tre forme di proprietà, quella socialista del popolo, quella cooperativa e quella privata. Il Governo ha fatto stampare migliaia di copie della Carta, ha creato una app ma tutti sono men che tiepidi. «Non sarà una nuova architettura dello Stato a farci vivere meglio se prendiamo 30 dollari al mese e se dobbiamo vivere con la libreta (la tessera annonaria, ndr). Una sola è la soluzione: un’economia più forte o salari più alti», dice Abel Pérez Cárdenas, 45 anni, insegnante di inglese scientifico alla facoltà di Medicina a Trinidad.
Il presidente Miguel Díaz-Canel Bermúdez, 58 anni, è in carica da dieci mesi. Sta gestendo un’eredità ciclopica, senza il sangue versato tante volte quando Stati rivoluzionari hanno perso i loro padri. Questa è una fase storica: un’eventuale democratizzazione del Paese, invocata soprattutto dai più giovani, potrebbe bloccare l’emorragia di legittimità del governo ma il cuore comunista palpita forte. E, di certo, domenica tutti andranno al voto, sia chi chiede democrazia, sia chi, ancor oggi, piange davanti al monumento di Che Guevara, ma forse qualche “No” darà voce al dissenso. Una crepa nel muro della rivoluzione?
Di certo, comunque vada il referendum, continuerà la rivoluzione dell’Oficina del Historiador, l’istituzione nata nel 1937 che ha salvato l’Avana Vieja con i suoi edifici enormi e appassiti. Eusebio Leal Spengler, classe 1942, è il motore di cotanta impresa dal 1967. Il líder máximo dell’architettura, cattolico e socialista insieme, ammaliato fin da bambino dalla fragile bellezza della città, la salva a costo di distendersi davanti ai martelli pneumatici che volevano distruggere la strada in legno di epoca coloniale del Palacio de los Capitanes Generales.
Nell’opera di Leal e della sua squadra c’è anche tanta Italia. Negli ultimi vent’anni la sinergia fra l’Oficina e la facoltà di Architettura di Firenze ha portato frutti (oggi sono una quarantina gli atenei italiani attivi in vari settori sull’isola con oltre cento progetti, ndr). Molte tesi di laurea sono diventate restauri, ad esempio, per la casa della Yagruma (oggi Centro Victor Hugo), il Castillo del Morro, il Convento de Las Teresas e, nell’Oriente di Cuba, per la Iglesia del Dátil Capilla de Nuestra Señora de los Dolores a Bayamo e la cattedrale di Santiago di Cuba.
Fra pochi mesi, sarà consegnato il ReDi, un centro tecnologico su restauro, design e architettura creato in un edificio storico a ridosso della Plaza Vieja. La sinergia è stata ampia: Stato cubano, cooperazione internazionale, 40 imprese italiane coinvolte grazie alla sede Ice dell’Avana e ad Assorestauro. «Collaborare con gli italiani, fra cui ricordo Cecilia Santinelli di Firenze e Andrea Griletto di Assorestauri, è come abbinare studio e lavoro e la latinità che ci unisce offre grande energia», dice l’architetto Giordano Sánchez Núñez, un 45enne in continuo movimento, sale e scende dai ponteggi, porta pesi, lui che fino a quando non ha iniziato a lavorare non aveva molto: una sedia per armadio dove riporre pantaloni, una maglietta, un paio di scarpe e uno di ciabatte.
Poi, arrivarono Leal, di cui è braccio destro, e i restauri con l’Italia, come quello al Convento de Las Teresas, dove lo incontriamo: «Sono stati fondamentali i corsi e i lavori in cantiere con Michele Paradiso, docente di Scienza delle costruzioni alla facoltà di Architettura di Firenze: mi ha insegnato a capire i vecchi edifici e a valutare sempre nel restauro i problemi statici».
Ora Michele Paradiso, con il gruppo di lavoro del dipartimento di Architettura di Firenze, ha davanti il progetto delle Escuelas de Arte. Impulsivo e passionale, questo docente pugliese, classe 1951, non sciorina le sue 70 e più missioni in 22 anni di Cuba né le decine di premi ricevuti in America Latina.
Il 20 dicembre 2018 il comitato congiunto dell’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo ha approvato un finanziamento di 2,5 milioni di euro per il recupero della Scuola di teatro. Il progetto prevede che l’assistenza tecnica sia affidata al dipartimento toscano diretto dal professor Saverio Mecca. Poi, dal confronto coi cubani si arriverà al progetto esecutivo e al recupero vero e proprio. «È un sogno che si realizza», esclama il professore nel suo studio.
Le Escuelas de Arte sono una sorta di fabbrica del Duomo in salsa cubana. Nel 1961 Fidel decide che all’Avana va costruito un centro per le arti: «Io canto, suono, faccio musica, dunque esisto», ripeteva. Il líder máximo individua la zona, l’Havana Biltmore Golf Club, dove Korda lo aveva immortalato mentre giocava a golf con il Che. Il club viene nazionalizzato, Fidel chiama tre architetti giovani, ma già esperti: Ricardo Porro (1925-2014), Vittorio Garatti (1927-vivente), Roberto Gottardi (1927-2017). Il loro lavoro è metafora della rivoluzione, massima libertà stilistica, nessun progetto preliminare. Solo un vincolo: usare materiali locali. Nascono le cinque scuole per teatro, musica, danza moderna, balletto e arti plastiche. Sono forme esuberanti e indiscrete, tanto mattone, poco cemento e tantissima utopia. Wright come nume e le volte alla catalana a sostenere i sogni. Sono indefessi i tre amici ma la Baia dei Porci cambia tanti destini: da quel momento l’architettura organica finisce negli archivi per lasciare spazio al Realismo sovietico.
Le scuole, pur funzionanti allora e oggi in alcuni ambienti, cadono nel dimenticatoio. L’incuria le divora, il Período especial taglia i fondi. Nel 1997 un libro di John Loomis fa riscoprire le Escuelas, nel 2011 escono i documentari Unfinished Space (Benjamin Murray e Alysa Nahmias) e Un sueño a Mitad (Francesco Apolloni). «Anch’io ricorda Paradiso - a una rassegna internazionale denunciai la necessità di un intervento da 20 milioni di euro». Ora, arrivano i denari, anche per far crescere i cubani alla scuola italiana del restauro e del consolidamento dei monumenti storici: «Sarà un restauro “omeopatico”, naturale con il dono della socializzazione delle idee». Cioè quanto Paradiso ha imparato a Firenze: Brunelleschi fu tra i primi artisti a condividere i progetti, tanto che, prima di realizzare la sua cupola, aveva creato un prototipo di modo che i fiorentini lo potessero vedere in anticipo.
Nell’anno in cui l’Avana sta per compiere 500 anni, fra palazzi splendenti e cortili dalla vecchiezza palpitante quasi fossero schizzati da Piranesi, si accendono le Escuelas e vale quel che si legge sui cartelli che proteggono le impalcature degli edifici in restauro: «No guardo rencor al pasado; al contrario, he creído en la necesidad de ir al futuro desde el pasado». Parola di Eusebio Leal.