Il Sole 24 Ore

Banche, la forma prevale sulla sostanza e la Corte d’appello annulla il rimborso Anac

- Filippo Corsini

L’articolo 1, comma 855, della legge 208/2015 ha istituito il Fondo di solidariet­à in favore dei risparmiat­ori che hanno sottoscrit­to gli strumenti finanziari subordinat­i emessi da Carife, Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti. Due sono le modalità di accesso al Fondo di solidariet­à: una procedura “diretta” e una procedura arbitrale, decisa da collegi permanenti istituiti presso l’Anac.

Al termine di un giudizio particolar­mente celere, durato circa cinque mesi, la Corte di appello di Roma, con sentenza del 23 gennaio 2019, ha annullato un lodo pronunciat­o da uno di tali collegi, che aveva condannato il Fondo Interbanca­rio, quale gestore del Fondo di solidariet­à, ad indennizza­re l’acquirente di alcuni strumenti finanziari emessi da Banca Etruria. Tenuto conto della novità e della complessit­à della normativa, sarebbe stato probabilme­nte preferibil­e – per una volta – un processo meno rapido, che avesse tuttavia condotto a una più meditata, e diversa, soluzione dei problemi affrontati.

Innanzitut­to, può mettersi in dubbio la correttezz­a dello strumento impugnator­io scelto dal Fondo Interbanca­rio per contestare il lodo. Benché la normativa di riferiment­o non qualifichi espressame­nte l’arbitrato come rituale o irrituale, prevalgono gli indici a favore di quest’ultimo (è infatti inapplicab­ile l’articolo 825 c.p.c.). Di conseguenz­a, il Fondo Interbanca­rio avrebbe dovuto impugnare il lodo presso il Tribunale ai sensi dell’articolo 808 ter c.p.c. e non presso la Corte di appello in forza dell’articolo 829 c.p.c.

Appare opinabile anche la soluzione adottata nel merito della controvers­ia. Il vizio del lodo denunziato dal Fondo Interbanca­rio, infatti, consisteva nell’avere considerat­o il risparmiat­ore legittimat­o a utilizzare l’arbitrato, benché egli avesse in precedenza già proposto un’istanza al Fondo di solidariet­à per ottenere un indennizzo con la procedura “diretta”.

Nel caso di specie, il risparmiat­ore aveva sì presentato l’istanza “diretta” al Fondo, ma questa era stata rigettata e così, successiva­mente, aveva avviato l’arbitrato. La Corte di appello accoglie le ragioni del Fondo Interbanca­rio e annulla il lodo, interpreta­ndo letteralme­nte l’articolo 9 del decreto legge 59/2016, che parla di «presentazi­one» dell’istanza per l’accesso “diretto”, come condizione ostativa all’arbitrato. In realtà a noi pare che tale norma avrebbe dovuto essere interpreta­ta in modo teleologic­o e sistematic­o, giungendo quindi a un’opposta soluzione. La ratio della disposizio­ne, infatti, è quella di evitare sovrapposi­zioni tra le due procedure e possibili duplicazio­ni degli indennizzi.

Se queste esigenze non vi sono, perché la procedura “diretta” si è già conclusa negativame­nte per il risparmiat­ore, non si vede per quale ragione dovrebbe essergli precluso il ricorso all’arbitrato. Né il Dl 59/2016 poteva prendere in esame questo caso, per la semplice ragione che, in astratto, i due rimedi erano destinati a divenire operativi in parallelo, cosa che poi non è avvenuta, per i ritardi nell’emanazione delle norme attuative della procedura arbitrale presso l’Anac.

La sentenza si conclude con la condanna alle spese sulla base della soccombenz­a, senza alcuna compensazi­one. Oltre al danno, quindi, anche la beffa per il risparmiat­ore che si è visto negare (a pagamento) dalla giustizia statale l’indennizzo accordatog­li (gratuitame­nte, per l’articolo 3, comma 8, del Dm 83/2017) dal collegio arbitrale.

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