Export veloce: il «Dual Use» attende (ancora) il decreto
A un anno dal varo della legge sul duplice uso le imprese sono in attesa della piena operatività
«Alle aziende che vendono in Paesi soggetti a sanzioni prodotti “innocenti” – valvole, caldaie, ma anche software – servono due cose. Sapere prima se li possono spedire senza poi blocchi in dogana e successive multe. E poterlo sapere senza spendere una fortuna. Due domande semplici. Ma siamo ancora in attesa». Ugo Pettinaroli, amministratore delegato della Fratelli Pettinaroli spa e ceo dell’omonimo gruppo specializzato in rubinetteria e valvole (100 milioni di fatturato e 300 addetti) sa che dovrà aspettare ancora per quelle risposte.
È passato poco più di un anno da quando è entrato in vigore il decreto legislativo 221/2017. Ovvero la riforma del cosiddetto Dual Use, che ha recepito le norme Ue nell’ordinamento italiano e messo ordine nella gestione dell’export di quei prodotti “ordinari” (tra gli altri, valvole, rubinetti, guarnizioni, tubi, caldaie, composti chimici e software) che, però, potrebbero anche essere impiegati, in certi Paesi, per scopi militari, per finalità nucleari o di riarmo, per spiare o reprimere dissidenti e popolazione civile.
Tra le nuove misure, infatti, quella più attesa dagli operatori economici (articolo 8 comma 5), è il debutto della cosiddetta Licenza Zero, una sorta di nulla-osta preventivo che le aziende – in caso abbiano il dubbio che il proprio prodotto possa essere bloccato in dogana perché considerato dual use– possono richiedere al ministero dello Sviluppo economico. Quest’ultimo, al termine di una istruttoria condotta anche sulla base delle informazioni raccolte dall’operatore che ne fa richiesta, dichiara formalmente che l’esportazione di una determinata merce non è soggetta ad alcuna autorizzazione.
In questo senso, le norme sulla Licenza Zero allineano l’Italia a quei Paesi comunitari che già dispongono di questo strumento (per esempio la Germania) e dovrebbero garantire certezze sulla libera circolazione di determinate merci, ampliando il business. Che lo strumento possa poi essere effettivamente
Senza norme che facilitino la «Licenza Zero», sulle Pmi peseranno incertezza e rischi in dogana
utile agli operatori dipenderà, si ritiene, dalla capacità del ministero per lo Sviluppo economico di rispondere celermente alle istanze di licenze zero che inonderanno gli uffici ministeriali, il tutto nelle notorie difficoltà di budget in cui operano le pubbliche amministrazioni. Ma per mettere in moto il meccanismo autorizzativo serve un decreto, di cui non c’è traccia.
«La Licenza Zero – sottolinea Marco Padovan, avvocato dell’omonimo studio legale milanese Padovan – allinea l’Italia, ad esempio, al proprio principale competitor nella meccanica, cioè la Germania e potrebbe avere un’importanza dirompente per le imprese del settore, perché potrebbe garantire quelle certezze che sinora sono mancate».
Ma ci sono dei nodi pratici da affrontare. Il ministero si deve dotare di una struttura tecnica competente per vagliare la documentazione. E poi lo farebbe gratis o le imprese richiedenti dovrebbero pagare? E se sì, quale sarebbe il tariffario? «Per rispondere a queste domande, serve un decreto attuativo che ancora non è arrivato» aggiunge Padovan. Che conclude: «Lo strumento sarà davvero utile se il Mise saprà rispondere con velocità e tempi certi alle istanze che arriveranno, nonostante i budget risicati della pubblica amministrazione».
Dati della Commissione Ue rilevano che nel 2016 (gli ultimi disponibili) le richieste di autorizzazione all’export di beni dual use hanno raggiunto un valore pari a oltre 45 miliardi, poco meno del 3% del totale delle esportazioni europee. Mentre sono state rilasciate autorizzazioni per esportare 33 miliardi di merce Dual Use.
«Resto convinto che il Governo dovrebbe scegliere la strada della delega – ha ribadito Fulvio Liberatore, presidente di Easyfrontier, società specializzata in materia doganale e partner tecnico del progetto Dogana Facile di Anima –. Ovvero, che attraverso accordi con le associazioni delle imprese e società specializzate, deleghi a esperti accreditati la validazione dell’istruttoria e magari anche l’autorizzazione, riservandosi un controllo formale. Ma serve un decreto che lo dica».