Salumi e succhi di frutta verso l’etichetta di origine
Via al processo che punta ad estendere la trasparenza a tutti i prodotti confezionati
Indicazione del luogo di provenienza anche per prodotti come salumi, succhi di frutta e marmellate. Dopo gli obblighi già fissati per pasta, riso, latte e sughi, è in questa direzione che si muove il decreto semplificazioni (Dl 135/2018, convertito dalla legge 12/2019), attivando un processo che, però, non è di applicazione immediata. In mezzo c’è infatti un decreto attuativo, che dovrà fissare il perimetro dei nuovi vincoli. E, all’orizzonte (primo aprile del 2020), ci sono le nuove regole europee in materia: una combinazione che potrebbe portare il rischio di contenziosi.
L’assetto attuale in materia di etichette - va detto - è parecchio articolato ed è frutto di una stratificazione di interventi. In alcuni casi, l’etichettatura obbligatoria di origine deriva da norme europee, valide in maniera “verticale” per i Paesi membri. Succede per carne bovina, suina, ovina, caprina e di volatili, miele, uova, olio d’oliva vergine ed extravergine, frutta e verdura fresca non trasformata, prodotti ittici freschi, prodotti ad indicazione geografica.
In altri casi, anticipando di qualche anno l’entrata in vigore definitiva del regolamento europeo in materia, sono stati approvati quattro decreti interministeriali di natura sperimentale che hanno introdotto, solo per gli operatori italiani, norme relative all’indicazione del luogo di origine della materia prima per alcune specifiche categorie di prodotti. Si tratta di latte e prodotti caseari, pasta di semola di grano duro, riso, derivati del pomodoro e sughi pronti.
Detto questo, una delle norme chiave del nostro sistema (la legge 4/2011) conteneva una nozione di origine incompatibile con il quadro comunitario, come denunciato proprio da Bruxelles. Da questo è nato il recente intervento del decreto semplificazioni, che ha abrogato le norme contestate e ha previsto che, tramite un prossimo provvedimento del ministero delle Politiche agricole, saranno individuate le categorie di prodotti per le quali è stabilito l’obbligo dell’indicazione del luogo di provenienza, riorganizzando gli obblighi previsti per il nostro paese.
Mettendo, così, nel mirino tutte quelle situazioni che possono ingannare i consumatori: salumi, carni trasformate, marmellate, succhi di frutta, fagioli e piselli in scatola, verdura essiccata. «Pensiamo al caso - spiega Stefano Masini, responsabile Ambiente di Coldiretti - di un succo di frutta prodotto con materie prime importate in Italia ma lavorate nel nostro paese. Non è corretto venderlo come italiano. Bisogna, invece, dare una tutela rinforzata ai prodotti coltivati e trasformati in Italia». Seguendo questa impostazione, i primi prodotti a finire sotto la lente saranno proprio i succhi di frutta, i salumi e, in generale, le carni trasformate. I nuovi obblighi di etichettatura potrebbero partire da qui.
Anche se, sullo sfondo, c’è il tema dell’entrata in vigore di un nuovo pacchetto di norme europee sulla materia, programmata per il 1° aprile del 2020 (regolamento 2018/775, direttamente applicativo nei paesi membri). Questo impone di indicare il Paese d’origine o il luogo di provenienza di un ingrediente primario, solo nel caso in cui non siano gli stessi del Paese d’origine o del luogo di provenienza indicato per l’alimento. Una formulazione articolata, nella sostanza, per ottenere un risultato pratico: evitare che un salume prodotto con carne estera venga commercializzato come «made in Italy».
Si tratta, però, di un assetto più permissivo rispetto a quello dei decreti già approvati in Italia: per la pasta, ad esempio, adesso è sempre obbligatorio indicare la provenienza. Per qualcuno c’è, allora, il rischio che il nuovo arsenale di obblighi non regga alla prova del confronto con le norme europee, esponendoci a contenziosi. Un’opinione che, però, non è condivisa da tutti. Ancora Masini: «Il legislatore europeo riconosce che, in alcune situazioni, c’è uno spazio per le norme nazionali, anche in un settore armonizzato. Il made in Italy è un valore per l’economia e giustifica questa tutela».