Il paradosso del forfait: ricavi d’ingresso uguali, imposte (molto) diverse
Il disallineamento deriva dall’unificazione dei requisito di accesso Nel settore delle costruzioni risparmi fiscali più che doppi rispetto al commercio
Il nuovo modello di imposizione forfettario sui redditi di imprenditori e professionisti disegnato dalla legge di Bilancio 2019 determina risparmi di imposta straordinariamente dissimili a seconda del settore di svolgimento dell’attività. È la diretta conseguenza dell’innalzamento e dell’unificazione del plafond necessario per usufruire dei benefici del forfettario.
L’accesso al regime agevolato è consentito alle persone fisiche in partita Iva che nell’anno precedente non abbiano oltrepassato una determinata soglia di ricavi/compensi. Se fino al 2018 tale soglia era variabile da un minimo di 25mila a un massimo di 50mila euro in relazione alla tipologia di attività esercitata, la legge di Bilancio 2019 ha previsto un innalzamento generalizzato fino a 65mila euro.
Il funzionamento del regime forfettario è abbastanza elementare: coloro che vi rientrano calcolano le proprie imposte sul reddito adottando, in luogo di Irpef, relative addizionali e Irap, una imposta sostitutiva con aliquota proporzionale secca del 15% (ridotta al 5% per i primi cinque anni di attività) su un imponibile determinato attraverso l’applicazione di un coefficiente di redditività (variabile a seconda del tipo di attività svolta) ai ricavi conseguiti nell’anno. A ben vedere si tratta di un regime di imposizione indipendente dai costi effettivamente sostenuti dal contribuente per l’esercizio del proprio business e, proprio per questo, strettamente correlato ai ricavi/compensi conseguiti nell’anno, che sono il reddito sul quale viene determinata l’imposta.
Questo meccanismo, considerando che le imposte vengono comunque imputate (e pagate) sul reddito, rischia di produrre effetti distorsivi. Il modello, infatti, tende a favorire i soggetti che svolgono attività caratterizzate da una ridotta incidenza dei costi: ad esempio, il commercio di beni comporta oneri più gravosi della consulenza aziendale. Tant’è che, proprio per non penalizzare eccessivamente le attività con alta incidenza di costi, il legislatore aveva individuato due parametri di compensazione: un plafond diversificato di ricavi/compensi utile per l’accesso al regime; e un differente coefficiente di redditività utilizzato per la determinazione dell’imponibile. Come accennato, la legge di Bilancio 2019, pur mantenendo i diversi coefficienti di redditività, ha uniformato il plafond, con la conseguenza di rendere estremamente disomogenea la declinazione dei benefici fiscali del regime forfettario sulla platea dei contribuenti interessati.
La tabella in pagina, attraverso l’applicazione dei coefficienti di redditività, “trasforma” la soglia massima di ricavi/compensi in livello massimo di reddito sul quale è possibile usufruire del regime forfettario. Se fino al 2018 tali valori variavano tra i 23.400 euro dei professionisti ai 15.500 degli intermediari del commercio, dal 2019 essi fluttueranno tra i 55.900 euro degli esercenti attività nel campo delle costruzioni e i 26.000 dei commercianti e dei contribuenti che svolgono attività nei settori delle industrie alimentari e delle bevande e nei servizi di alloggio e ristorazione. In altre parole, un idraulico potrà usufruire di un vantaggio fiscale più che doppio rispetto a un commerciante.
La disparità di trattamento appare ancora più eclatante in termini di risparmio di imposta. Premesso che il reddito imponibile di professionisti, artigiani e commercianti viene determinato, anche nel forfettario, previa deduzione dei contributi previdenziali versati nell’anno d’imposta (contributi differenziati a seconda della gestione previdenziale di appartenenza), l’applicazione del medesimo regime agevolato, a parità di ricavi/ compensi realizzati, produce sulle varie categorie interessate risparmi di imposta molto eterogenei.
Ad esempio, il passaggio dal regime ordinario Irpef al forfettario genera un risparmio massimo di 1.321 euro annui per un commerciante e di ben 7.990 per un dottore commercialista. A ben vedere una differenza superiore al 600%, effetto diretto dell’applicazione di un modello di imposizione indipendente dall’entità dei redditi conseguiti nell’esercizio dell’attività.