Effetto-Consulta: da Napoli a Messina città vicine al default
Caos dopo la bocciatura del rientro in 30 anni per gli extra-deficit Per il ripiano in 10 anni mancano i fondi ma anche le regole
La sentenza della Corte costituzionale che ha cancellato la possibilità di ripianare in 30 anni negli enti in crisi i deficit extraaperti dalla pulizia straordinaria dei conti riporta a un passo dal dissesto un’ottantina fra Comuni e Province. Fra gli enti in bilico spiccano Napoli, Messina, Reggio Calabria, Foggia, Pescara, Lamezia Terme, Cosenza. Queste amministrazioni dovrebbero ridurre a 10 anni il piano di rientro dai deficit. Ma la rata annuale da versare sull’altare del riequilibrio farebbe quasi sempre saltare i conti.
La sentenza 18/2019 con cui la Corte costituzionale ha bocciato il ripiano in 30 anni dei buchi nei conti aperti dalla pulizia dei bilanci degli enti in «predissesto» manda nel caos Napoli, Messina, Reggio Calabria, Foggia, Pescara, e decine di Comuni più piccoli praticamente tutti concentrati al Sud. E ha lo stesso effetto su un gruppo di Province, in questo caso con larga presenza settentrionale dal Vco a Novara, da Asti a Imperia, trascinate nel gorgo dal lungo limbo finanziario degli enti di area vasta. Dire addio al rientro in 30 anni per riabbracciare il calendario originario, al massimo decennale, significherebbe per quasi tutti il dissesto. Ma come capita sempre più spesso nelle vicende della finanza locale italiana, a dominare sono l’incertezza e le battaglie interpretative. Proviamo a mettere ordine.
La Consulta (redattore Aldo Carosi) ha cancellato dall’ordinamento il comma 714 della manovra 2016, riscritto nel comma 434 della legge di bilancio 2017 (Il Sole 24 Ore del 15 febbraio). Quelle norme permettevano anche agli enti in pre-dissesto, il meccanismo anti-default introdotto dal governo Monti, di spalmare in 30 anni il ripiano del deficit extra prodotto dal riaccertamento straordinario dei residui. Si tratta della maxipulizia dei conti imposta a tutti nel 2014 dalla riforma della contabilità per cancellare le vecchie entrate ormai impossibili da incassare. L’addio a queste voci ha aperto deficit extra, da ripianare. In 30 anni per la generalità degli enti. Al massimo in 10, cioè entro la fine del piano di rientro, per quelli in pre-dissesto. Le due regole erano palesemente scoordinate, e per allinearle è intervenuto il comma 714 della manovra 2016. Proprio lui, nella versione rivista l’anno successivo, è stato spedito dalla Corte dei conti della Campania sui tavoli della Consulta. Che l’ha bocciato perché l’allungamento delle rate era a sua volta scoordinato con il piano dei pagamenti ai creditori, che rimaneva decennale, e si traduceva quindi di fatto nella possibilità di finanziare spesa corrente con le anticipazioni anti-crisi: cioè con debito, in violazione dell’articolo 81 della Costituzione).
Per capire le conseguenze pratiche basta guardare a Napoli. Oggi il Comune paga circa 70 milioni all’anno per ripianare il suo extra-deficit entro il 2042. Comprimere l’operazione nel vecchio calendario decennale imporrebbe di chiudere l’arretrato entro il 2022 (il piano di riequilibrio è del 2012), con una rata annuale gonfiata fino a oltre 300 milioni. Un default matematico. Che con cifre diverse ma proporzioni simili si ripeterebbe negli altri enti in cui il predissesto è iniziato prima del 2014, coinvolgendo quindi il riaccertamento straordinario.
Ma c’è di più. La Consulta boccia il ripiano iper-diluito perché va contro «elementari principi di equità intergenerazionale», caricando sulle spalle dei figli il debito dei padri (invincibile abitudine italiana). E lo stesso, aggiunge la parte più originale della sentenza, accade fra i politici, perché le regole devono permettere «ai nuovi amministratori di svolgere il loro mandato senza gravose eredità».
Quindi? «Quindi la situazione è sospesa», ragiona Enrico Panini, che da assessore al Bilancio a Napoli di vecchi debiti si intende parecchio (sui suoi conti pesano ancora i crediti vantati dai concorsi di ricostruzione postterremoto dell’Irpinia). «La Corte spiega - chiede al legislatore di intervenire, e una via d’uscita potrebbe essere quella di prevedere una gestione separata per i vecchi debiti, come accade a Roma e come chiediamo da sempre». Ma nell’attesa, Napoli e gli altri enti restano sospesi fra un piano di rientro che non c’è più e una soluzione che non c’è ancora.