Inerenza, la Corte conferma: meno forza all’entità del costo
Un orientamento precedente disconosceva la deducibilità di oneri non compatibili La Suprema corte ha spezzato il collegamento con l’articolo 109 del Tuir
Inerenza, congruità, onere della prova: sono questi i paletti che circoscrivono l’area entro la quale deve posizionarsi un costo per poter essere dedotto dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo.
Principi che, tuttavia, presentano un livello di complessità interpretativa almeno pari alla loro importanza in quanto si caratterizzano per un elevato grado di astrattezza che mal si concilia con la necessità di certezze che dovrebbe caratterizzare la determinazione del reddito. A ciò si aggiunga il fatto che nel corso degli anni le interpretazioni giurisprudenziali che si sono succedute hanno gradualmente spostato il concetto di inerenza da un giudizio di tipo qualitativo a favore di quello quantitativo incentrato sulla presunta incongruità del costo sostenuto.
Tuttavia, nel corso del 2018, sono intervenute varie pronunce della Cassazione tese ha ristabilire - salvo ripensamenti sempre in agguato – le corrette linee interpretative sul concetto di inerenza (si veda anche Il Sole 24 Ore del 12 febbraio 2018).
L’inerenza prima del 2018
Prima delle sentenze del 2018 il concetto di inerenza è stato correlato all’articolo 109, comma 5 del Tuir che stabilisce che le spese e gli altri componenti negativi «sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito o che non vi concorrono in quanto esclusi».
In base a questo articolo il principio di inerenza viene invocato quale motivo per recuperare a tassazione i costi estranei alla gestione aziendale o comunque non correlati con l’attività di impresa dato che l’inerenza aziendale è una caratteristica imprescindibile che i costi devono avere per poter essere dedotti. In sostanza, correttamente, l’inerenza rappresenta il postulato che individua il necessario collegamento tra il componente di reddito e l’attività aziendale. Collegamento che si basa su un giudizio che prende in considerazione gli aspetti qualitativi sottesi al sostenimento del costo.
Tuttavia, accanto a tale filone, si è affiancato un secondo orientamento mirato a disconoscere - anche solo parzialmente - la deducibilità degli oneri in quanto di ammontare “eccessivo” o “non congruo”, e dunque derivanti da un presunto comportamento “antieconomico” dell’imprenditore. Si è così fatta strada, anche a livello giurisdizionale, una tesi che attribuiva al requisito dell’inerenza una valenza squisitamente quantitativa.
Le pronunce della Cassazione
La Cassazione, con le ordinanze 450/2018 e 3170/2018 rompe il collegamento tra principio d’inerenza e l’articolo 109, comma 5 Tuir sottolineando come questa norma si riferisce al diverso principio dell’indeducibilità dei costi relativi ai ricavi esenti (ferma ovviamente l’inerenza), cioè alla cosiddetta “correlazione tra costi deducibili e ricavi tassabili” mentre, il principio di inerenza ha natura generale, inespressa, immanente alla nozione stessa di reddito d’impresa non è ricollegabile a nessun articolo del Testo unico. L’inerenza esprime la riferibilità del costo all’attività d’impresa, anche se in via indiretta, potenziale o in proiezione futura.
La valutazione dell’inerenza dei costi consiste sempre e solo in un giudizio “qualitativo” e si deve, quindi, abbandonare il concetto di inerenza “quantitativa” poiché non può essere mai tradotto in termini di congruità della spesa sostenuta tale per cui un costo potrebbe essere inerente anche solo in parte.
La valenza qualitativa
In particolare, nell’ordinanza n. 450/2018, i supremi giudici sottolineano come «l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo, scevro da riferimenti di utilità o di vantaggio, afferenti un giudizio quantitativo, e deve essere distinta dalla nozione di congruità del costo». In sostanza, l’evidenziazione di un comportamento antieconomico non può giustificarsi identificando l’inerenza con la sproporzione o l’incongruità dei costi.
La Cassazione pertanto, ha il merito di riconfigurare il concetto di inerenza riportandolo nuovamente all’interno della sfera qualitativa del rapporto con l’attività dell’impresa in un ambito prettamente aziendalistico e, quindi, fuori del perimetro fiscale. La spesa è inerente se sostenuta a favore dell’impresa. Appare accantonata l’interpretazione che lega, invece, l’inerenza di un costo soltanto in base alla dimensione quantitativa della spesa per cui un costo potrebbe essere inerente anche solo in parte o nel caso in cui il suo importo appaia in linea con i valori di mercato. Viceversa, per la Suprema corte il costo attiene o non attiene all’attività d’impresa a prescindere dalla sua entità.