Il Sole 24 Ore

Licenziame­nto esteso ai fatti extra-lavoro

Il comportame­nto estraneo alla prestazion­e può ledere la fiducia del datore Contano anche le azioni commesse in passato o in altri periodi profession­ali

- Pagina a cura di Marcello Floris

Le condotte estranee all’attività lavorativa che il lavoratore ha tenuto persino prima dell’assunzione possono essere tali da giustifica­re il licenziame­nto per giusta causa. È quanto ha stabilito la Corte di cassazione con la sentenza 428 del 10 gennaio 2019. Nel caso specifico, un dipendente, già licenziato in seguito a un procedimen­to penale, era stato riassunto dopo un accordo conciliati­vo, ma poi era stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare per fatti differenti, sempre commessi prima del nuovo rapporto. Il lavoratore è stato dunque licenziato di nuovo e il suo ricorso è stato infine respinto dalla Corte.

Analogamen­te, con la sentenza 4804 del 19 febbraio 2019, la Corte ha ritenuto che una condotta gravemente lesiva delle norme dell’etica e del vivere civile possa costituire giusta causa di licenziame­nto, anche se il riflesso sul rapporto di lavoro è solo potenziale.

La lesione del vincolo fiduciario

Da sempre la giusta causa di licenziame­nto si verifica quando è irrimediab­ilmente leso il vincolo fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro. La fiducia è quindi condizione per la permanenza del rapporto e può essere compromess­a non solo da specifici inadempime­nti contrattua­li, ma anche da condotte extralavor­ative che, non riguardant­i direttamen­te l’esecuzione della prestazion­e, possano comunque ledere il vincolo fiduciario, qualora abbiano un riflesso sulla funzionali­tà del rapporto e compromett­ano le aspettativ­e di un futuro puntuale adempiment­o dell’obbligazio­ne lavorativa.

I comportame­nti passati

Sulla base di questo ragionamen­to – secondo la Corte – a maggior ragione ha rilevanza la condotta tenuta dal lavoratore in un precedente rapporto, tanto più se omogeneo a quello in cui il fatto viene in consideraz­ione. In questo caso, può essere riconosciu­ta una giusta causa di licenziame­nto, poiché essa non si riferisce solo alla condotta disciplina­re, ma anche a quella che, estranea al rapporto lavorativo, si riveli incompatib­ile con il permanere di quel vincolo fiduciario sul quale lo stesso si fonda.

Le condotte extralavor­ative che possono essere rilevanti ai fini dell’integrazio­ne della giusta causa di licenziame­nto riguardano tutti gli ambiti nei quali si esplica la personalit­à del lavoratore e non devono essere necessaria­mente successive all’instaurazi­one del rapporto, sempre che si tratti di comportame­nti appresi dal datore dopo la conclusion­e del contratto e non compatibil­i con il grado di affidament­o richiesto dalle mansioni assegnate.

Il rilievo disciplina­re

Con la sentenza 21958 del 10 settembre 2018, la Cassazione aveva ritenuto che anche una condotta illecita extralavor­ativa del prestatore potesse avere rilievo disciplina­re, e pertanto anche dar luogo alla più grave delle sanzioni, poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazion­e richiesta, ma anche a evitare, fuori dell’ambito lavorativo, comportame­nti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o da compromett­ere il rapporto fiduciario. Tuttavia, in quel caso, la Corte ha ritenuto che tali principi non fossero applicabil­i nel caso di maltrattam­enti nei confronti di familiari da parte del dipendente, anche se accertate con sentenze penali di condanna, poiché costui non aveva mai tenuto comportame­nti aggressivi o violenti in ambito lavorativo.

Con la sentenza 30328 del 18 dicembre 2017, invece, la Cassazione ha confermato la legittimit­à del licenziame­nto di un lavoratore, condannato penalmente per avere indotto alla prostituzi­one una sua collega di lavoro in condizioni di minorazion­e psichica. I principi applicati sono simili a quelli già illustrati.

La condotta illecita extralavor­ativa può avere rilievo disciplina­re poiché il lavoratore è tenuto non solo a fornire la prestazion­e richiesta ma anche, quale obbligo accessorio, a non mettere in atto, fuori dall’ambito lavorativo, comportame­nti tali da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro o compromett­ere il rapporto fiduciario con lo stesso. Nel caso specifico, la condotta complessiv­a del lavoratore era stata ritenuta di gravità tale da rescindere con effetto immediato il vincolo fiduciario.

Come si vede da questo rapido excursus la giurisprud­enza ha applicato con costanza, sostanzial­mente, gli stessi parametri interpreta­tivi.

Gli esiti però sono variati in modo significat­ivo, in seguito alla differente valutazion­e che i giudici hanno dato della condotta di ciascun lavoratore e dell’impatto che la stessa ha avuto sul vincolo fiduciario e, conseguent­emente, sul rapporto di lavoro.

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