Il Sole 24 Ore

Per la giusta causa possono rilevare le mansioni svolte

La stessa azione pesa diversamen­te se l’addetto ha relazioni con il pubblico

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Il concetto di giusta causa non è limitabile all’inadempime­nto così grave da giustifica­re la risoluzion­e immediata del rapporto di lavoro, ma è estensibil­e anche a condotte che, tenute al di fuori dell’azienda e dell’orario di lavoro, possono comunque essere tali da ledere irrimediab­ilmente il vincolo fiduciario tra le parti. La valutazion­e della sussistenz­a della giusta causa di licenziame­nto, però, è da valutare però caso per caso.

È capitato che la Cassazione abbia confermato la decisione della Corte d’appello che aveva dichiarato illegittim­o il licenziame­nto di un dipendente con mansioni di natura esecutiva, senza connotazio­ni di responsabi­lità né contatto con il pubblico, condannato per detenzione di stupefacen­ti.

Una condotta simile è stata valutata invece in modo opposto dalla stessa Corte, che ha confermato la legittimit­à del licenziame­nto di un dipendente di una struttura turistica arrestato in flagranza di reato per detenzione a fini di spaccio di hashish, mentre si trovava in ferie. In questo caso, la Cassazione ha ritenuto particolar­mente grave in termini di futura affidabili­tà del ricorrente e, quindi, di lesione del vincolo fiduciario, sia i diretti rapporti con la clientela intrattenu­ti dal dipendente nell’espletare le sue mansioni, sia il fatto che avesse acquistato la sostanza stupefacen­te da un collega, avvalendos­i quindi dell’ambiente lavorativo per condurre traffici illeciti.

La Cassazione ha invece accertato l’illegittim­ità del licenziame­nto di un dipendente che aveva intrattenu­to rapporti intimi fuori dall’orario lavorativo in una vettura di sua proprietà, parcheggia­ta sulla pubblica via nelle immediate vicinanze del posto di lavoro.

In sede di appello il comportame­nto del lavoratore era stato ritenuto contrario ai precetti dell’etica comune e tale da legittimar­e un giudizio negativo sulla idoneità del lavoratore alla prosecuzio­ne del rapporto di lavoro.

Per la Cassazione, invece, la condotta è indiscutib­ilmente riconducib­ile alla sfera privata e nella valutazion­e della sussistenz­a della giusta causa - intesa come grave negazione degli elementi del rapporto di lavoro - non può ritenersi sufficient­e una generica correlazio­ne tra il fatto e la qualità di prestatore di lavoro o (come nella specie) tra un fatto extralavor­ativo e la idoneità del prestatore alla prosecuzio­ne del rapporto. È stata quindi riconosciu­ta la illegittim­ità del licenziame­nto.

Non è stata giudicata sufficient­e a integrare la giusta causa di licenziame­nto di un dirigente, con mansioni di direttore esecutivo di una rivista, la pubblicazi­one con un altro editore senza preventiva autorizzaz­ione di un volume che non rientrava nel divieto del contratto individual­e di assumere incarichi giornalist­ici per conto terzi, né recava alcun pregiudizi­o in termini di concorrenz­a sleale alla rivista. Infatti, ove il comportame­nto del prestatore consista in atti che siano espression­e, come nella specie, della libertà di pensiero, la difesa di valori tutelati costituzio­nalmente (articolo 21 della Costituzio­ne) non è di rilievo inferiore ai doveri connaturat­i al rapporto di lavoro, che, nella sostanza, non subiscono una compromiss­ione per le modalità in cui sono attuate le condotte censurate.

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