Serve subito una legge per rimettere ordine
Saranno guai per i tanti Comuni in predissesto che hanno goduto dell’ammortamento trentennale del saldo negativo creato dal riaccertamento straordinario dei residui. La Corte costituzionale ha definitivamente sancito che gli enti locali con bilanci strutturalmente deficitari non possono utilizzare per decenni per spese correnti la leva dell’indebitamento, consentito dalla Costituzione (articolo 119, comma 6) esclusivamente per affrontare spese di investimento con i relativi piani di ammortamento. L’occasione è stata fornita dalla sezione di controllo della Campania della Corte dei conti che ha rimesso alla Consulta il comma 714 della legge di stabilità 2016, come sostituito dal comma 434, della legge 232/2016.
La tesi è stata accolta dal giudice delle leggi con una sentenza impeccabile e ampiamente motivata, che ha dichiarato incostituzionale quanto consentito fino ad oggi agli enti locali in predissesto, cioè di finanziare la spesa corrente per decenni. Più esattamente, di spalmare e quindi ammortizzare il disavanzo determinato dal riaccertamento straordinario dei residui in un trentennio. Un modo, questo, per scaricare sulla generazione dei nipoti gli (o)errori di bilancio commessi dai nonni, spesso occultati colpevolmente anche dai padri per anni.
Questo assunto genererà la conseguente «incostituzionalità» del comma 848, della legge di bilancio 2018, che ha consentito un’identica occasione agli enti locali «ritardatari» nel riaccertamento preteso dall’articolo 3, comma 7 del Dlgs 118/2011, purché destinatari di eccezioni indirizzate da parte delle Sezioni regionali di controllo.
Lo stop della Corte costituzionale è motivato dal fatto che l’arco temporale straordinariamente lungo concesso dalla norma dichiarata illegittima appare incompatibile con la ratio delle misure tendenti al risanamento ordinario degli enti locali che, per loro natura, rintracciano l’utilità pubblica in un piano di rientro breve.
Sotto questa luce, la norma contrasta con gli articoli 81 e 97, comma 1, della Costituzione sotto tre diversi profili: violazione dell’equilibrio di bilancio, in relazione alla maggiore spesa corrente autorizzata nell’arco di un trentennio; violazione dell’equità intergenerazionale, per aver caricato sui futuri amministrati gli oneri dei prestiti contratti nel trentennio per alimentare la spesa corrente; violazione, infine, del principio di rappresentanza democratica, in quanto sottrae agli elettori la possibilità di giudicare gli amministratori sulla base dei risultati di bilancio conseguiti.
La decisione inciderà negativamente sulle sorti di grandi città italiane, Napoli in primis. Le conseguenze saranno nefaste per tutti gli enti locali che hanno goduto delle facilitazioni attribuite loro dalla norma annullata. Saranno soggetti alla retrocessione dell’entità del disavanzo derivante dal riaccertamento straordinario dei residui a suo tempo perfezionato.
Si apriranno così le porte alle dichiarazioni di dissesto, autonome o per i conseguenti giudizi sfavorevoli delle Sezioni regionali della Corte dei conti, impegnate nelle verifiche annuali dei predissesti in corso (articolo 243-quater, comma 6 del Tuel).
La conseguenza verosimile è che, in caso di persistente omissione della dichiarazione di dissesto da parte dell’ente nonostante la diffida, si potrà arrivare allo scioglimento del consiglio comunale da parte del Prefetto, in base all’articolo 247 del Tuel e all’articolo 6, comma 2 del Dlgs 149/2011; perché l’applicazione della sentenza determinerà nei bilanci squilibri strutturali tali da esigere il dissesto. Visto l’impatto deflagrante della sentenza (soprattutto, in Calabria, Campania e Sicilia ove i Comuni coinvolti in predissesto sono oltre 140), è necessario un intervento legislativo, del resto invocato dalla stessa Consulta, che possa rimediare ai disastrosi effetti che si determineranno di qui a poco nel sistema degli enti locali.