Le sfilate di Milano staccano Londra e New York
Nomi storici e voci nuove: mix vincente che ora Parigi dovrà cercare di eguagliare Dopo l’apogeo degli anni 90 i brand sono riusciti a unire Dna e contemporaneità
Un sistema da 95 miliardi di fatturato, che occupa 600mila addetti: è il tessile-moda-accessorio italiano. Le sfilate e presentazioni dell’ultima settimana hanno portato a Milano un record di presenze estere: Milano stacca ormai Londra e New York e rivaleggia con Parigi. In passerella e negli showroom marchi noti nel mondo, da Armani a Prada, da Fendi a Versace a Dolce&Gabbana e stilisti emergenti, hanno trasmesso l’idea che la creatività italiana, oltre che manifattura e artigianalità, rendono la moda globale.
A New York sono rimasti “solo” i grandi stilisti locali, da Ralph Lauren a Tom Ford. La zarina della moda americana, Anna Wintour, direttore “a vita” di Vogue Usa (per decisione della casa editrice CondÈ Nast), è venuta a Milano a presentare la prossima mostra del Met, sponsorizzata da Gucci. A Londra resiste solo Burberry: l’altra icona della moda britannica, Vivienne Westwood, sfilerà a Parigi. E la capitale francese è l’unica città che, nella moda, può rivaleggiare con Milano come punto di riferimento dello stile e del business. Gilet gialli permettendo: le proteste hanno funestato la settimana dell’alta moda di gennaio e anche quella che sta per iniziare potrebbe avere le stesse difficoltà. Il bilancio di Milano moda donna, la fashion week che si è chiusa ieri, è quindi molto positivo.
Il calendario conta ormai su nomi noti e voci nuove – poche, ma buone – e questo è certamente positivo, ma andrebbe forse riorganizzato in modo da distribuire uniformemente il peso su tutte le giornate, cosa che al momento non avviene; e il cui effetto immediato, a latere, sarebbe quello di aiutare a trattenere gli stranieri in città, presi sempre dalla fregola inspiegabile di fuggire il prima possibile a Parigi.
Il pregiudizio che si è cementato nello scorso decennio non accenna a risolversi, ed è un peccato. Bisognerà attendere e lavorare in sottigliezza, in modo da convincere tutti. La rinascita milanese è infatti in pieno corso ed è visibile in ogni luogo e ambito, dal cibo agli eventi, ed è significativa anche la presenza del sindaco Beppe Sala ad alcune sfilate.
Il movimento trova nella moda un veicolo particolarmente efficace. Si torna a lavorare su una identità stilistica originale, evitando di seguire storie e attitudini lontane dalla concretezza e dal pragmatismo italiani. Mai come oggi il repertorio anni Ottanta e Novanta – apogeo autentico del made in Italy – appare, opportunamente attualizzato, di stringente attualità. Ed è lì che attingono molti autori. È il caso di Dorian Tarantini e Matteo Mena, in arte M1992, direttori creativi del progetto 1910 Borbonese – i due hanno un debole per i numeri – capsule collection in total look che crea un nuovo immaginario, fedele nello spirito, amplificato nell’espressione, intorno allo storico marchio di pelletteria, nato appunto nel 1910 e famoso per la stampa a occhio di pernice. Con il motivo “op” Tarantini e Mena, la cui sensibilità metropolitana e undergroud è nutrita da una inesauribile fascinazione per l’iconografia classica della moda italiana, giocano con riverente irriverenza, se ci si passa l’ossimoro. Immaginano una donna con stile molto milanese ma per nulla prevedibile, che passa con disinvoltura dal piumino mega all’abitino I segni stilistici sono indubbiamente nostalgici, ma l’assemblaggio è contemporaneo, e convince.
Dopo un paio di stagioni incerte, Marco de Vincenzo torna in carreggiata e fa quel che gli riesce meglio: trasforma abiti da signora bene in oggetti psichedelici, profondendo glitter, luccicanze e arcobaleni su vestine a pieghe, tailleur e pullover giganteschi di pelliccia sintetica. Sognante e deragliante, ma frutto di una visione attenta, la prova celebra con una nota positiva i dieci anni di attività dello stilista siciliano.
Da Laura Biagiotti il bianco così naturalmente associato all’identità della maison arriva alla fine, per la sera, preceduto da una irresistibile carambola di colori vividi che regalano gioia. Il colore da Philosophy di Lorenzo Serafini è una nota squillante di rosso o di magenta, mescolata al classico bianco e nero in una serie di abitini, tailleur e sottovesti che richiamano, in maniera forse troppo letterale, momenti topici e look iconici della memoria collettiva fashion, da Versace a Calvin Klein.
La ricchezza di proposte della moda milanese è invero notevole, specchio delle generale esplosione e frammentazione di stili e di tendenze. C’è di tutto: dal romanticismo fané di Antonio Marras al pragmatismo marziale di Sportmax, dalle linee asciutte elettrizzate dal trattamento artistico delle superfici di Gabriele Colangelo al guardaroba da ragazza bon ton incline al metissage culturale di Stella Jean, dal pop stradaiolo di GCDS alla biancaneve reinterpretata di Iceberg. Visioni spesso antitetiche le une rispetto alle altre, perchè la lingua contemporanea della moda non prevede diktat ma solo coesistenze. Di certo c’è che questi designer parlano un chiaro idioma italiano, ma che il loro appeal è internazionale.