Tusk apre a una proroga sull’uscita Gb
Per Tusk una proroga potrebbe rivelarsi «una soluzione razionale» Tra i nodi il voto europeo e l’incertezza prolungata sul partenariato futuro
A poco più di un mese da Brexit, e in assenza dell’approvazione a Londra dell’accordo di recesso, l’ipotesi di un rinvio dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione è sempre più concreta. Lo sguardo dei negoziatori brussellesi corre ormai al prossimo appuntamento inglese. Entro breve Westminster dovrebbe votare su un emendamento che respinge l’ipotesi di una hard Brexit, ossia di una uscita disordinata. Parlando ieri in Egitto, a margine di un vertice internazionale, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha aperto la porta a una proroga del periodo di due anni tra la notifica della volontà di uscire e l’effettiva uscita dall’Unione.
A poco più di un mese da Brexit, e in assenza dell’approvazione a Londra dell’accordo di recesso, l’ipotesi di un rinvio dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione è sempre più concreta, anche se non mancano gli ostacoli giuridici e politici. Lo sguardo dei negoziatori brussellesi corre ormai al prossimo appuntamento inglese. Entro breve Westminster dovrebbe votare su un emendamento che respinge l’ipotesi di una hard Brexit, ossia di una uscita disordinata.
Parlando ieri in Egitto, a margine di un vertice internazionale, il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha aperto la porta a una proroga del periodo di due anni tra la notifica della volontà di uscire e l’effettiva uscita dall’Unione: «Penso che (…) una proroga potrebbe rivelarsi una soluzione razionale». Ma, ha poi aggiunto: «La premier Theresa May pensa di poter evitare questo scenario». Secondo la stessa signora May, una uscita ordinata il 29 marzo rimane «a portata di mano».
Da settimane domina l’incertezza sul futuro dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione. Dopo che Westminster ha bocciato in gennaio l’accordo di recesso negoziato tra Londra e Bruxelles, la premier inglese ha deciso di far scorrere l’orologio nella speranza che i deputati contrari all’accordo lo approvino all’ultimo minuto pur di evitare una uscita disordinata dall’Unione. La strategia è rischiosa e sta inducendo i Ventisette a prepararsi al peggio.
A molti esponenti dell’establishment britannico non piace soprattutto il “backstop”, il paracadute irlandese che dovrebbe evitare il ritorno di un confine tra le due Irlande, in attesa di una intesa di partenariato (la soluzione temporanea prevede la permanenza del Regno Unito nell’unione doganale). In questo contesto, l’ipotesi di una proroga è concreta. Addirittura secondo il quotidiano The Guardian, la scadenza dettata dall’articolo 50 dei Trattati potrebbe essere spostata dal 29 marzo 2019 al 31 dicembre 2020.
«La possibilità presenta alcuni vantaggi, ma anche molti svantaggi – analizza un diplomatico –. Da un lato, permetterebbe di evitare una uscita caotica. Il Paese continuerebbe a partecipare alle istituzioni comunitarie e a contribuire al bilancio fino alla fine dell’attuale settennato. Dall’altro, però, non risolverebbe la questione del voto europeo del maggio prossimo e non consentirebbe di concludere nel frattempo un accordo di partenariato, che deve essere negoziato da un Paese terzo».
Molti governi non vedono di buon occhio una proroga che non sia limitata nel tempo e con obiettivi chiari. Temono che la continua presenza del Regno Unito nell’Unione, un piede dentro e un piede fuori, inquini i lavori comunitari. Nel caso di proroga breve, il nodo del voto europeo verrebbe probabilmente risolto consentendo a Londra di non organizzare elezioni, ma di inviare a Strasburgo propri rappresentanti, come fa un Paese (per ultimo, la Croazia) che aderisce all’Unione nel corso di una legislatura.
Parlando ieri alla Bbc, il premier olandese Mark Rutte ha avvertito gli inglesi che hard Brexit è «inaccettabile» e che una proroga senza obiettivi chiari è fuori discussione. Oltre al presidente Tusk, la signora May ha incontrato in Egitto anche il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Secondo una portavoce comunitaria, i due leader hanno discusso tra le altre cose di eventuali garanzie supplementari a proposito della soluzione-paracadute per risolvere il nodo irlandese.
Ad alcuni diplomatici, la dichiarazione aperturista è sembrata più che altro il tentativo di sostenere la premier inglese nel suo sforzo di ottenere sull’accordo di recesso l’appoggio di una maggioranza di deputati a Westminster. L’obiettivo (o meglio, la speranza) dell’establishment comunitario è di avere chiarezza da parte di Londra il più presto possibile e comunque entro il vertice europeo del 21-22 marzo che i Ventisette non vogliono si trasformi in un summit tutto dedicato a Brexit.
A proposito di chiarezza, in un confuso quadro inglese nel quale i due grandi partiti popolari sono drammaticamente spaccati, lo sguardo di molti negoziatori corre al prossimo voto a Westminster su una proposta, sotto forma di emendamento, che imporrebbe al governo di chiedere una proroga del negoziato, nel caso del rischio di hard Brexit. L’esito del voto non è chiaro, tanto più che una proroga, soprattutto se lunga, è vista come fumo negli occhi dai brexiteers, preoccupati da un revival dei remainers.