Aumento dei dazi rinviato: Trump prolunga la tregua con Pechino
Il presidente americano prevede un accordo con Xi, le Borse in festa
Prima di partire per il Vietnam dove domani e dopo incontrerà il leader nordcoreano Kim Jongun, Donald Trump ha confermato che i negoziati con la Cina per porre fine alla guerra commerciale hanno registrato «progressi sostanziali». Venerdì, alla scadenza della tregua di 90 giorni, Trump non intende più raddoppiare i dazi Usa dal 10% al 25% su 200 miliardi di prodotti cinesi. L’ufficio del rappresentante al Commercio Robert Lighthizer emetterà questa settimana un ordine formale per ritardare l’aumento delle tariffe.
Il presidente americano ha poi ribadito che un accordo ci sarà, verrà firmato in un incontro con il presidente Xi Jinping - probabilmente entrofine marzo in Florida - e porrà fine a due anni di guerra commerciale tra le due superpotenze.
Donald Trump, prima di partire per il suo viaggio in Vietnam, dove domani e dopo incontrerà il leader nordcoreano Kim Jong-un, ha confermato che i negoziati con la Cina per porre fine alla guerra commerciale hanno registrato «progressi sostanziali» nei capitoli più delicati sulla tutela della proprietà intellettuale e il trasferimento delle tecnologie, così come nella stabilizzazione della valuta, nei servizi e nell’agricoltura.
Venerdì, alla scadenza della tregua di novanta giorni, ha detto Trump, non verranno più che raddoppiati i dazi Usa dal 10% al 25% su 200 miliardi di prodotti cinesi. L’ufficio del rappresentante al Commercio Robert Lighthizer emetterà questa settimana un ordine formale per ritardare l’aumento delle tariffe. Tanto è bastato ieri per portare una ventata di ottimismo sui mercati finanziari. A partire dalle borse asiatiche con l’indice Shanghai Composite salito del 5,6%, il rally maggiore dal 2015. Passando per le piazze europee tutte positive. Per arrivare fino a Wall Street con l’S&P500 e il Dow Jones saliti ai livelli più alti da quattro mesi. Ha pesato però sui corsi del petrolio, in forte calo ieri, il tweet di Trump che ha parlato di prezzi troppo alti e invitato il cartello dei produttori Opec a «rilassarsi e ad andarci piano».
Il presidente americano ha ribadito che un accordo ci sarà, verrà firmato in un incontro con il presidente Xi Jinping - probabilmente entro la fine di marzo nel suo golf resort di Mar-a-Lago, in Florida - e porrà fine a due anni di lotta commerciale tra le due super potenze.
Un accordo conviene agli Stati Uniti, e all’amministrazione Trump, che fa dei primati economici uno dei cavalli di battaglia, per allontanare i venti di rallentamento del Pil e riportare nuova benzina sui mercati. Il presidente di nuovo ieri ha ribadito la paternità di questi successi economici. «Da quando sono stato eletto presidente il Dow Jones è salito del 43% e il Nasdaq di quasi il 50%. Stiamo rilanciando l’America a una velocità che nessuno pensava possibile», ha detto. I media Usa hanno subito calcolato che le cifre indicate dal presidente sono più o meno corrette, anche se arrotondate al rialzo di quasi il 5% in entrambi i casi. «Trump come ha detto Gene Ma, capo economista all’Institute of International Finance - vuole un accordo e non una guerra con le elezioni presidenziali del 2020 all’orizzonte».
L’accordo conviene anche alla Cina, che si trova per la prima volta da 40 anni a fronteggiare un inatteso rallentamento della sua crescita che sembrava inarrestabile e che ora ha come imperativo assoluto, prima ancora delle percentuali del Pil, la stabilità economica. Nonostante le tante concessioni che verranno fatte agli Stati Uniti, per ridurre e forse azzerare il surplus commerciale, Pechino in ogni caso non vede diminuire di tanto la sua influenza globale. «Mi aspetto che la Cina offrirà una lunga lista della spesa, nessuna svalutazione dello yuan, una migliore protezione dei diritti legati alla proprietà intellettuale, e nuove regole per facilitare gli investimenti americani», ha spiegato l’economista dell’Iif.
L’ultimo round negoziale tra le due delegazioni a Washington dovrebbe concludersi venerdì prossimo. Si lavora su un testo di cento pagine, con sei memorandum di intesa, con molte parti ancora da riempire nei punti controversi. Il vice premier e capo negoziatore cinese Liu He dovrebbe restare nella capitale americana fino al weekend.
L’amministrazione Usa è riuscita con la sua politica protezionistica a riequilibrare i conti di una globalizzazione viziata, pure avviata dagli americani. Trump si prepara a coglierne tutti i meriti. Tra i due litiganti e la pax commerciale in arrivo, quella che rischia di perdere di più è l’Europa, stretta tra le due superpotenze, debole, sempre più divisa al suo interno, alla vigilia delle elezioni di maggio. Negli ultimi anni l’Unione europea ha perso forza nel mondo in termini economici. Nel 1990 il Vecchio Continente produceva il 23% del Pil globale: una percentuale oggi scesa al 15 per cento.