Sospiro di sollievo Pd: obiettivo coalizione
Ma i renziani doc e Calenda chiudono a un’intesa nazionale dem-Leu
«Il risultato della Sardegna conferma quello che ho sempre pensato: che la strada è lunga, però bisogna combattere. C’è un popolo democratico, un popolo del centrosinistra che non è scomparso». Il segretario in pectore del Pd Nicola Zingaretti trae dal buon risultato di Massimo Zedda - secondo con oltre il 33% dei voti laddove alle scorse politiche il Pd in Sardegna si era fermato a poco più del 17% - buoni auspici per la costruzione di un’alternativa di governo. E in effetti il buon risultato di Zedda - sindaco di Cagliari, vendoliano - sta lì a testimoniare che esiste uno spazio politico, al momento più di un terzo dell’elettorato, che non si riconosce né nella Lega salviniana né nel M5s e che attende una rappresentanza adeguata anche a livello nazionale. E come accaduto in Abruzzo con Giovanni Legnini, anche Zedda prende più voti, circa il 3%, rispetto ai partiti che lo sostengono. Anzi, verrebbe da dire nonostante i partiti che lo sostengono: il Pd si ferma poco sopra il 13% anche se risulta il primo partito della regione.
Zingaretti e i suoi sostenitori traggono dal risultato della Sardegna, dopo quello analogo dell’Abruzzo con Giovanni Legnini, la convinzione che attorno al Pd vada costruita una nuova alleanza di centrosinistra. «In un Paese fermo, isolato, persino incattivito c’è un’alternativa. Il Pd deve lavorare per essere al centro di una coalizione alternativa al centrodestra», incalza l’ex premier Paolo Gentiloni. Eppure al “coalizione larga” di cui parlano i dirigenti dem, costruita in Abruzzo come in Sardegna con liste civiche, non è facilmente trasportabile a livello nazionale. E l’alleanza locale con la sinistra extra-Pd non è una novità: non va dimenticato che nonostante la scissione del 2017 la sinistra di Mdp-Leu è rimasta quasi sempre alleata a livello amministrativo, ma a livello nazionale prevalgono distanze politiche e veti incrociati. A cominciare da quello di Carlo Calenda, che ha più volte ribadito che la sua proposta di fronte europeista non è rivolta a Mdp-Leu. Va poi aggiunta la neanche tanto velata minaccia di scissione da parte dei renziani doc. Proprio in queste ore Roberto Giachetti, il candidato più vicino a Renzi, ribadisce che se Zingaretti confermerà i pronostici e vincerà le primarie del 3 marzo lui lo aspetterà al varco: se rientrano gli scissionisti bersaniani e se ci saranno aperture al M5s - dice - «io toglierò il disturbo».
Insomma, i segni di vitalità in periferia di un centrosinistra dato per morto alle scorse politiche ci sono. Ma la traversata nel deserto comincia ora, e il prossimo segretario del Pd avrà come primo compito quello di mantenere unito il partito. Zingaretti incassa intanto lo spirito collaborativo del candidato arrivato secondo al congresso tra gli iscritti, Maurizio Martina: «Se vinco le primarie di domenica chiederò a Zingaretti e Giachetti di lavorare nella nuova squadra nazionale. Basta dividerci». Gesto ricambiato da Zingaretti: «Tenere Martina in squadra se vinco le primarie? Certo».