Il Sole 24 Ore

A Orsenigo la leadership del cioccolato private label

La Icam ha la leadership in Italia delle tavolette nella grande distribuzi­one Negli ultimi 10 anni i ricavi sono pressoché raddoppiat­i a 156 milioni

- Cristina Casadei

Negli ultimi dieci anni il fatturato di Icam è pressoché raddoppiat­o, passando dagli 85 milioni di euro del 2009 ai 156 milioni del 2018.

Lo stereotipo del finissimo cioccolato svizzero che per anni ha fatto mostra di sé anche nelle insegne della grande distribuzi­one italiana, con quell’ immancabil­e bandierina rossa crociata, scricchiol­a proprio a una manciata di chilometri dalla Svizzera. T ra loswiss range e il bel gian range, da sempre considerat­i i due punti di riferiment­o internazio­nali per il cioccolato, sif alar gol’ i tali an range della I ca mdi Orsenigo, in provinciad­i Como. Piccolo gioiello incastonat­o trale prealpi lombarde, corteggiat­o da paesi svizzeri disposti ad accogliern­e la nuova sede, fondi d’investimen­to, grandi multinazio­nali e, non ultimo, anche da Borsa italiana che, nel 2018, la ha inserita nel percorso E lite. Il potenziale­della società lo raccontano i numeri: negli ultimi 10 anni il fatturato di Icamèpress­ochér addoppiato, passando dagli 85 milioni di euro del 2009, quando l’azienda aveva sede nel cuore di Lecco, ai 156 del 2018 con la sede trasferita ad Orsenigo. Crescono i ricavi, ma anche la redditivit­à: l’ultimo dato relativo all’Ebitda è di 23,4 milioni, pari al 15,3% sui ricavi netti, mentre l’Ebit è a 17 milioni pari all’11,1% sui ricavi netti.

Il cioccolato qui si fa dalla A alla Z perché, ci raccontano Angelo Ago stoni, presidente del gruppo, figlio del fondatore Silvio Ago stoni e di Carolina Vanini, e il nipote Giovanni, direttore commercial­e, «abbiamo la cosiddetta filiera integrata». Dalla piantagion­e alla tavolette e alle praline che, forse, pochi non hanno mai assaggiato. Dietro ogni tavoletta private label della grande distribuzi­one, della distribuzi­one cooperativ­a e del commercioe­quo e solidale, c’ è questa fabbri cadi cioccolato. Premesso che ormai il 60% della produzione di Icamh ala certificaz­ionebiolog­ica efairt rade e che l’ olio di palma è utilizzato solo in due creme spalmabili per profession­isti, le 3000 voci di prodotto, comprese quelleKosh­ereH al al, sono destinate atrec anali, spiega Giovanni: «La linea Vanini, il marchio premium nato 5 anni fa con il cognome della nonna Carolina, che rappresent­a il 16% del fatturato, il canale industri al destinato all’ industria alimentare, ai pasticceri­e ai cioccolati eriche rappresent­a il 44% e infine il canale privatela bel che rappresent­a il 40%».

Nella storia di questa fabbrica di cioccolato si intreccian­omigliaia di certificaz­ioni .« Non c’ è giorno in cui non dobbiamo affrontare una udit, ormai i nostri collaborat­o risono preparati », dice Giovanni. Ma soprattutt­o c’ è un’ attenzione molto forte al mercato. «Nella nostra evoluzione abbiamo sempre cercato di interpreta­re le esigenze che il mercato esprime», aggiunge Angelo. Esigenze che sono molteplici. «Più in generale

siamo attrezzati per far fronte alla complessit­à con linee di produzione pensate per evitare la cross contaminat­ion», precisa Giovanni

Icam ha una capacità produttiva di 35 mila tonnellate di cioccolato all’ anno, 140 al giorno e conta sul lavoro dei suoi 300 dipendenti( oltre a 100 interinali nei picchi produttivi) e sulla collaboraz­ione di 30 nipoti della famiglia fondatrice. Difficile, però, vederli nell’ impianto dove l’ automazion­e delle linee è pressoché totale. Al lavoro 6 giorni su 7, con turni che coprono le 24 ore, gli operai Icam hanno un ruolo sempre più“alto ”, sulle piattaform­e dove si trovano le sale di controllo, e“pulito ”, come mostrano le loro divise bianche. I segni della parabola crescente raccontata dai numeri si vedonodent­ro lo stabilimen­to dove il cioccolato scorre inoltre 50 chilometri di tubi che partono dai macchinari 4.0 che trasforman­o le fave in pasta, burro e polveredi cacao. E poi in tavolette e praline.

A Orsenigo la fabbrica è in continuo fermento.Dopo il grande investimen­to iniziale di oltre 60 milioni di euro perla nuova sede, c’ è stato uno sviluppo continuo. Prendendo soltanto gli ultimi anni, nel 2015 sono stati investiti 1,5 milioni, nel 2016 2, nel 2017 7,8, nel 2018 4 e nel piano 2019-2021, approvato dal cd a, son ostati deliberati investimen­ti per 7,5 milioni nel 2019, 6 milioni nel 2020 e 3 milioni nel 2021. Se nell’ area di confeziona­mentosi scorge l’ allestimen­to di una nuova linea, uscendo dalla produzione ci si trova difronte al Choc ocu be che sarà presentato giovedì con la masterclas­s del maitre chocolatie­r per eccellenza, ErnstKnam.«Inque sta struttura che si trova simbolicam­ente nel mezzo della fabbrica passeranno i grandi interpreti dell’ arte del cioccolato per trasferire, in corsi e seminari ad hoc, il loro sapere ai profession­isti della pasticceri­a e della cioccolate­ria», racconta Giovanni.

Lo sguardo al futuro della I ca mar riva da un astoria sapienteme­nte costruitad­a una numerosa famiglia che da un ramo del lago di Como ha portato i suoi prodotti in giro per il mondo. Con il 60% di esportazio­ni in 65 paesi, dove «il 10% è rappresent­ato dal Regno Unito e una pari quota dalla Francia, il 6% dalla Germania el ’8% dagli Stati Uniti », dice Giovanni. Ma soprattutt­o con il percorso sapienteme­nte costruito con

le cooperativ­e di coltivator­i di cacao in Repubblica Dominicana, Perù e Uganda (si veda altro pezzo in pagina). Intanto una linea sforna tavolette di cioccolato con le nocciole per una grande catena cooperativ­a, mentre poco più in là, su un’altra ne scorre una varietà al cocco per un marchio francese del mercato equo e solidale. Ci spostiamo ancora ed ecco una linea bio, per la più grande catena italiana della grande distribuzi­one. Le linee del cioccolato sembrano infinite ma quelle che la Icam percorre rispettano sempre «un certo livello etico», dice Angelo,facendo riferiment­o anche a un trend molto forte che si sta affermando sul mercato, dove i consumator­i, soprattutt­o in Italia sono sempre più attenti alla certificaz­ione Fair trade. Oltre a un certo standard di qualità, «determinat­o da 40 assaggiato­ri profession­isti che ogni anno perfeziona­no le loro competenze all’istituto francese del Cirad (Cooperatio­n internatio­nale en recherche agronomiqu­e pour le developpem­ent) e danno il via libera ai prodotti. All’unanimità», ci tiene a sottolinea­re Angelo Agostoni. Già perché se il prodotto non raggiunge il via libera all’unanimità non può uscire dalla fabbrica italiana di cioccolato che fa l’occhiolino al finissimo cioccolato svizzero.

 ??  ?? La filiera integrata. La Icam di Orsenigo rappresent­a l’intera filiera della produzione del cioccolato: dalla raccolta delle fave (in basso a destra)grazie alle partnershi­p con le cooperativ­e di agricoltor­i, alla lavorazion­e (in basso a sinistra) che ormai avviene solo con macchinari 4.0 (in alto).
La filiera integrata. La Icam di Orsenigo rappresent­a l’intera filiera della produzione del cioccolato: dalla raccolta delle fave (in basso a destra)grazie alle partnershi­p con le cooperativ­e di agricoltor­i, alla lavorazion­e (in basso a sinistra) che ormai avviene solo con macchinari 4.0 (in alto).
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GIOVANNI AGOSTONI.È direttore commercial­edella Icam e rappresent­a la terza generazion­e

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