La svolta di Dolce&Gabbana: eleganza anni 40 e tessuti hi-tech
Collezione divisa in capitoli: in primo piano il lavoro di squadra della sartoria
«La moda è fatta di evoluzione ma vive anche del mercato: ci reinventiamo da sempre, stagione dopo stagione. Anzi, giorno dopo giorno. Allo stesso tempo cerchiamo di capire cosa desiderano e, più difficile e rischioso, cosa desidereranno, i clienti». Domenico Dolce e Stefano Gabbana sono orgogliosi dell’ennesima piccola grande svolta stilistica per la collezione del prossimo autunno-inverno, ma sono anche «emozionati», forse persino un filo ansiosi. A pochi minuti dall’inizio della sfilata si augurano in bocca al lupo a vicenda. Non è un rito scaramantico né falsa modestia: lo stato d’anima di uno stilista, nel backstage di una passerella, è simile a quello dei registi in occasione della prima di uno spettacolo teatrale (la cosa più simile a una sfilata, che in inglese infatti si chiama
fashion show, spettacolo di moda). Simile è anche il desiderio di vedere le reazioni degli spettatori e, in particolare a teatro, di cronometrare gli applausi o capirne l’intensità.
La sfilata Dolce&Gabbana di domenica è durata circa mezz’ora (contro una media di 12 minuti degli altri show) ed è stata interrotta almeno tre volte da “applausi a passerella aperta”, ai quali si è aggiunto quello finale. Liberatorio per Domenico Dolce e Stefano Gabbana, mai così sereni dalla cancellazione del mega show di Shangai, nel novembre scorso; liberatorio per buyer, clienti e giornalisti in sala.
I due creativi hanno dimostrat di avere le risorse per reagire in modo costruttivo a una vicenda che ha rischiato di minare l’equilibrio tra loro e quello dell’azienda. Hanno reagito con la forza della creatività e la concretezza dell’artigianalità. Prima della sfilata, un video in bianco e nero ha mostrato Domenico Dolce e Stefano Gabbana intenti a scegliere tessuti, correggere bozzetti, tagliare e cucire, attaccare bottoni e drappeggiare su manichini e modelle.
A rafforzare questo bagno di realtà, la scelta di non mandare in passerella influencer o generazioni dagli acronimi sempre in evoluzione, dai Millennial in giù. «Internet e i social ci hanno cambiato la vita e per molti versi è un bene. Ma il nostro lavoro è e deve restare artigianale, dal primo all’ultimo passaggio. Un lavoro di squadra con sarte, sarti, modellisti, produttori di tessuti – sottolineano i due stilisti –. Un lavoro che può essere fatto solo in un luogo fisico, usando tutti e cinque i sensi, cercando affinità umane e armonia tra visioni». Innovativi, ma anche disposti a confermare scelte fatte e ritenute felici, come quelle viste in occasione della collezione uomo che ha sfilato in gennaio. Ritorno all’eleganza per quanto riguarda lo stile, show con presentatore che declama con pomposità e allo stesso tempo ironia l’entrata delle modelle: format inaugurato, appunto, con la sfilata maschile. «Il tema è l’eleganza. Che però può voler dire tutto e niente: per noi significa forme e silhouette dal sapore antico, sartoriale, con innesti totalmente nuovi. Sono inediti filati e tessuti, frutto di ricerca con i nostri fornitori, mai visti gli accostamenti tra tecniche di costruzione degli abiti. Antichi e nuovi allo stesso tempo pure scarpe, accessori, cappelli: alcuni sono comprati nei mercatini e poi arricchiti, altri sono rifatti, altri ancora partono da una forma anni 40 ma si trasformano in corone o sono impreziositi da piume e velette». Una collezione divisa in “capitoli”: a colpire di più forse le spose (delle “uberprincipesse”) e le «protagoniste della notte». Assomigliano a Kim Basinger, premio Oscar in LA Confidential: più degli abiti e le acconciature da red carpet colpiva nel film il suo look da casa. Nel backstage DG c’era di tutto un po’: Hollywood, Sicilia, Rinascimento, Mille e una notte. Q.b., quanto basta. Di ogni cosa: dosi non meglio specificabili, come nella migliore delle ricette. Pardon, delle collezioni.