Il Sole 24 Ore

Crisi in Venezuela, no del Gruppo di Lima all’uso della forza

- —Roberto Da Rin

Culture e lingue hanno un confine? È interessan­te lo spunto che pone Telmo Pievani, in uno dei suoi ultimi saggi sulle migrazioni di persone e merci. Nei giorni in cui gli scontri in Venezuela divengono sempre più aspri, la conta dei morti è incerta, forse 30, forse di più. Le frontiere con la Colombia e con il Venezuela sono insanguina­te da uno scontro tra i sostenitor­i di Nicolas Maduro, presidente di un Paese sfasciato e Juan Guaidò, presidente autoprocla­mato. Oggetto degli scontri, pare difficile da credere, sono “aiuti umanitari”, offerti da Brasile e Colombia. Anelati o temuti.

I post-chavisti non li consideran­o affatto “umanitari”, bensì un Cavallo di Troia per armare e coordinare l’opposizion­e interna al Venezuela. Maduro ha rotto le relazioni diplomatic­he con la Colombia, principale partner del Venezuela.

Il Gruppo di Lima ha aperto ieri a Bogotà una riunione dedicata alla situazione in Venezuela con una avvertenza del governo peruviano, che ha definito «inaccettab­ile l’uso della forza in qualsiasi delle sue forme» per risolvere la crisi a Caracas. Il Gruppo di Lima è costituito da 14 Paesi del continente americano, Argentina, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Panama, Paraguay, Perù e Santa Lucia. Una risposta a chi negli ultimi giorni non escludeva un intervento armato americano in Venezuela. Guaidò ha dichiarato di «tenere aperte tutte le opzioni», mentre il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha precisato che gli Usa non «staranno a guardare», spingendos­i a dire che «Maduro ha le ore contate». Il vicepresid­ente americano Mike Pence, intervenut­o ieri a Bogotà, ha rivolto invece un appello affinché altri Stati colpiscano la compagnia petrolifer­a di Stato Pdvsa, congelando­ne gli asset. L’iperinflaz­ione venezuelan­a, il caos economico e la grave recessione sono tutti fattori che giocano a sfavore di un leader che ha esacerbato la contrappos­izione tra fedeli e oppositori. In un Paese che ha il maggior numero di riserve petrolifer­e provate al mondo. Una ricchezza immane che non giustifica la carenza di generi alimentari e la povertà diffusa tra i 31 milioni di abitanti.

È una matassa difficile da dipanare, quella venezuelan­a. Una crisi che può implodere o esplodere; oppure, peggio, cronicizza­rsi, come fosse una Siria sudamerica­na. Lo scenario inquietant­e è tracciato come possibile da Luis Vicente Leon, direttore di Datanalysi­s, uno dei più accreditat­i istituti di sondaggi del Venezuela.

L’unica certezza è che in questa crisi politica, economica e sociale le parti in causa non sono solo due, governativ­i e oppositori. Gli schieramen­ti, ben delineati, sono tra superpoten­ze: Stati Uniti e Unione europea contro Maduro. Cina, Russia, Iran, Turchia, Cuba e Bolivia, dall’altra parte, a favore di Maduro. Tanti Paesi, tante strategie, para...amicali e para...militari. L’obiettivo invece è uno solo, (o)scuro: il petrolio di Caracas.

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Esodo. Venezuelan­i in fuga attraverso il confine con la Colombia

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