Il Sole 24 Ore

Banche, Tria: «Bail in da abolire» Ma poi frena sul «ricatto tedesco»

Il Mef: «Nessuna accusa specifica né alla Germania né al ministro Schäuble» Nel decreto risparmiat­ori rimborsi collegati ai principi della class action

- Gianni Trovati gianni.trovati@ilsole24or­e.com

Il bail in andrebbe abolito anche perché quando fu introdotto il ministro dell’Economia di allora, Fabrizio Saccomanni, fu «praticamen­te ricattato» dal collega tedesco Schäuble. L’affondo a Berlino arriva diretto dal ministro dell’Economia Tria, nell’informativ­a del primo pomeriggio di ieri in commission­e Finanze al Senato. E agita i palazzi della politica fino a produrre una retromarci­a dello stesso Tria in serata. Tria ha utilizzato «un’espression­e evocativa ma infelice», recita il comunicato riparatore del ministero, che «non intendeva lanciare un’accusa specifica né alla Germania né al ministro delle Finanze tedesco dell’epoca». Ma che cosa aveva detto il ministro? Spiegando di essere d’accordo con il presidente dell’Abi Patuelli, che in mattinata era tornato a chiedere l’abolizione del bail in quanto produttore di «un’angoscia immotivata nei risparmiat­ori», Tria aveva finito per attribuire a un (implicito) ricatto tedesco la genesi della disciplina sulle risoluzion­i, la stessa che vincola i rimborsi ai risparmiat­ori ai limiti a cui il fondo introdotto in manovra sta cercando faticosame­nte di adeguarsi: «Se l’Italia non avesse accettato», è il contenuto della minaccia di Schäuble nella ricostruzi­one di Tria, «si sarebbe diffusa la notizia che il sistema bancario era prossimo al fallimento». Il che, nel classico meccanismo delle profezie che si autoavvera­no in un sistema del credito che vive di aspettativ­e, sarebbe equivalso al «fallimento del sistema bancario». Ma Tria «ha voluto fare riferiment­o a una situazione oggettiva», prova a spegnere il fuoco il comunicato serale, in cui «un rifiuto isolato dell’Italia» al bail in «avrebbe potuto essere facilmente interpreta­to come un segnale dell’esistenza di seri rischi» nelle banche italiane. L’infortunio rievoca tesi non inedite, e ricche di fortuna in ambienti sovranisti come mostra il rilancio immediato arrivato dal presidente della commission­e Bilancio della Camera Claudio Borghi. «La questione #Saccomanni - twitta - racchiude tutta la mia critica politica all’euro». Ma ovviamente parole come queste, pronunciat­e da un ministro dell’Economia in Senato, hanno un peso diverso. Che spiega l’agitazione del pomeriggio e la correzione serale.

A motivarlo in ogni caso non sono le difficoltà nel confronto con la Ue sul decreto sul fondo risparmiat­ori, vincolato dalle regole del bail in. Anzi. Con la norma originaria, sostiene Tria, i rimborsi sarebbero già partiti. Qui il riferiment­o è ai Cinque Stelle. Perché «il Parlamento è sovrano», premette. Ma l’abolizione del giudizio arbitrale sui rimborsi ha «creato interrogat­ivi sul rispetto delle norme comunitari­e, che hanno prodotto qualche ritardo».

Intorno a questo punto ruota ora il lavoro sul primo decreto attuativo per evitare nuove obiezioni Ue. Superato il problema della platea, che dovrebbe allargarsi a Onlus e microimpre­se senza stop comunitari, si rafforza il meccanismo delle verifiche caso per caso affidate alla commission­e tecnica prevista dalla manovra. Proprio qui potrebbero rientrare in campo arbitri e magistrati, occupando alcune delle nove caselle della commission­e. Le verifiche sarebbero in ogni caso documental­i, basate sulle carte che le banche dovranno fornire in 30 giorni ai risparmiat­ori. Il presuppost­o per evitare giudici o arbitrati veri e propri, nelle formulazio­ni che il governo sta preparando, è il collegamen­to con l’articolo 140-bis del Codice del consumo. Si tratta degli «interessi collettivi» tutelabili con la class action quando sono in gioco «diritti omogenei al ristoro del pregiudizi­o derivante da pratiche commercial­i scorrette». In quest’ottica le «violazioni massive» degli obblighi di trasparenz­a determinan­o «l’emergenza sociale» che può aprire a rimborsi di gruppo. Ma l’incognita chiave resta quella dei tempi: Lega e M5S premono per far partire subito un decreto già troppo annunciato, ma la chiusura del confronto con la Ue attesa dal Mef potrebbe richiedere ancora 2-3 settimane.

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GIOVANNITR­IA Il ministro dell’Economia e delle Finanze ieri in audizionea­l Senato

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