La battaglia persa sul terreno del debito
Saccomanni ricostruì la vicenda in audizione alla Commissione banche
La premessa è che sul tema del bail-in spesso si discute «con scarsa cognizione di causa». Per rintracciare la posizione sul tema del governo allora presieduto da Enrico Letta, basta rileggere quanto dichiarò il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni il 21 dicembre 2017 nel corso della sua testimonianza presso la Commissione parlamentare sulle banche presieduta da Pier Ferdinando Casini. Sul bail-in – ha sostenuto ieri il ministro dell’Economia, Giovanni Tria – «Saccomanni fu praticamente ricattato dal ministro delle Finanze tedesco». La ricostruzione del diretto interessato va in altra direzione. Dopo aver ricordato che il bail-in fece la sua comparsa sui tavoli negoziali europei nel gennaio 2011, e che il principio che ne è alla base venne approvato dal G20 «di cui l’Italia fa parte», Saccomanni illustra così la posizione del governo: «Ho sempre sostenuto, e con me i colleghi della Direzione generale del Tesoro, la necessità che ogni tipo di bail-in non avesse natura retroattiva e che venisse applicato solo sui titoli di nuova emissione». L’altra tesi esposta allora dal governo fu che il nuovo meccanismo dovesse essere accompagnato dalla necessaria gradualità, «in modo da consentire la necessaria fase di transizione e di apprendimento sia per le banche che per gli investitori». Una posizione che non trovò sponde, come ricorda lo stesso Saccomanni, quando sottolinea come la proposta italiana non fu recepita nel testo finale della direttiva europea Brrd predisposta dalla Commissione Ue e approvata dall’Ecofin nel giugno del 2013. «Trattandosi di materia su cui si delibera a maggioranza, la presidenza di turno si limitò a prendere atto che la proposta italiana aveva raccolto amplissimo consenso». Il motivo della debolezza della posizione negoziale italiana? Non è una novità: l’astronomico debito pubblico. La spiegazione di Saccomanni (valida allora come oggi) è al riguardo molto chiara: a livello europeo l’Italia «deve prendere di petto il problema del debito pubblico, e solo così può portare avanti richieste di modifica delle direttive. Richieste che però risentono di un’impostazione di totale sfiducia, di totale rigetto del principio di condivisione dei rischi con un paese com’è appunto l’Italia».