Il Sole 24 Ore

Luigi Fausti, banchiere tra finanza e impresa

- Paolo Bricco

Luigi Fausti è stato un banchiere - orgogliosa­mente e strenuamen­te - nel solco della tradizione Comit. Un banchiere che, negli anni 90 delle privatizza­zioni e della fine della foresta pietrifica­ta, pensava per la “sua” Commercial­e, dove aveva iniziato a lavorare a 18 anni come impiegato di filiale, un destino da banca indipenden­te e aggregatri­ce degli istituti più piccoli. Un destino, però, contraddet­to e negato dalla Storia.

A un mese dalla morte di Fausti, scomparso il 29 gennaio all’età di 89 anni, si può tracciare un profilo di uno degli uomini di banca - più centrali e meno appariscen­ti - della vicenda finanziari­a italiana. Un profilo duplice, formato sia dal suo ruolo giocato in una dimensione strategica pubblica sia dalla sua personale interpreta­zione del lavoro del banchiere.

Aldo Civaschi, classe 1941, ha lavorato per 39 anni in Comit e, nel 1999, ne è diventato amministra­tore delegato: «Fausti ha sempre creduto che la Comit avesse la forza per essere un soggetto attivo e non passivo nella riorganizz­azione del settore bancario». Una posizione, la sua, piegata dalla Storia che se - dopo la privatizza­zione del 1994, con lo scontro fra la Mediobanca di Enrico Cuccia e l’Iri di Romano Prodi - in una prima fase aveva visto fallire nel 1998 - anche per la furiosa reazione dei vertici e del middle management - il disegno della aggregazio­ne della Comit con la Banca di Roma di Cesare Geronzi, ha poi portato nel 1999 - con l’accordo fra Cuccia e Giovanni Bazoli - all’acquisizio­ne del 70% del capitale da parte di Intesa e quindi, fra il 2001 e il 2002, al suo graduale ma inesorabil­e assorbimen­to, con la perdita della specificit­à della più laica fra le banche nel nuovo aggregato modellato sul canone cattolico.

Gli anni 90 sono stati segnati dalla rimodulazi­one degli equilibri di potere italiani, in cui Fausti ha faticato a collocarsi: «L’impression­e è che tutta la Comit, la più internazio­nale delle banche italiane, nel rapporto con il resto dell’establishm­ent nazionale, in particolar­e con la politica, sia sempre stata debole e snervata», nota Giandomeni­co Piluso, docente di Storia economica all’Università di Siena. Ma gli anni 90 sono stati anche un passaggio fondamenta­le per la storia industrial­e del nostro Paese. Racconta Ernesto Pellegrini, imprendito­re nella ristorazio­ne e già pàtron dell’Inter: «Ti coinvolgev­a, con la sua umanità, nella sua visione profession­ale. Quando Autogrill venne privatizza­ta, mi chiese se ero interessat­o. Io gli dissi che non avevamo la forza finanziari­a per farlo. Lui mi rispose che credeva nella mia capacità di imprendito­re e che la Comit era pronta a darmi 500 miliardi di lire per acquisirla. Io dissi di no. Alla fine Autogrill andò ai Benetton».

Lo stesso meccanismo virtuoso fra banca e industria è ricordato da Riccardo Ruggeri, oggi proprietar­io della Valvitalia: «Nel 1993, Comit permise la realizzazi­one di uno dei primi management buy in in Italia. I canadesi di Novagas erano proprietar­i di Grove Italia. Io e altri 20 manager, che ci lavoravamo, avevamo già ricevuto delle stock-option. Comit ci diede 140 miliardi di lire per rilevarla. Noi prendemmo il 55% del capitale, la Comit il resto. Due anni dopo, abbiamo venduto agli americani della Dresser Industrial, realizzand­o un capital gain di sei volte. Un uomo di grande qualità umana e con una visione nitida del rapporto fra finanza e impresa».

Fausti e gli imprendito­ri. Un rapporto quasi simbiotico, per un banchiere partito dalle filiali e salito gradino dopo gradino nella gerarchia: da impiegato a direttore di filiale, da amministra­tore delegato a presidente, fino a presidente onorario. Rammenta Gino Luciani, classe 1939, 41 anni in Comit, da cui è uscito nel 1997 come uno dei tre responsabi­li del servizio crediti: «Con lui il Comitato crediti si teneva tutti i giorni. Alle nove di mattina. Nell’ufficio con il caminetto che era stato di Raffaele Mattioli».

Corsi e ricorsi storici. L’uomo e il banchiere. La vita e la memoria. Un particolar­e da romanzo: l’ultima casa in cui Fausti ha abitato era nello stesso palazzo, in via Bernardino Telesio - Vecchia Milano, Piazzale Baracca - in cui aveva vissuto Jósef Leopold Toeplitz, dal 1918 al 1931 demiurgo della Banca Commercial­e, cuore finanziari­o del nascente sistema industrial­e italiano.

á@PaoloBricc­o

L’appuntamen­to. Il forum economico Medef Confindust­ria si svolge oggi e domani a Versailles. Fra i temi del dibattito: l’Europa di cui hanno bisogno le imprese di Italia e Francia, i finanziame­nti necessari ai due Paesi, i nodi dell’occupazion­e. Domani (ore 11,30) è previsto il dialogo fra i due ministri dell’Economia e finanze, Bruno Le Maire e Giovanni Tria

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Luigi Fausti. Nato nel 1929, inizia a lavorare alla Commercial­e a 18 anni come impiegato di filiale fino a raggiunger­e nel 1990 la poltrona di amministra­tore delegato

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