Il Pil Usa a +2,6%, non risente dello shutdown
Il quarto trimestre ha rallentato meno del previsto sul precedente (+3,4%) Il dato relativo all’intero 2018 , appena sotto il 3%, è però il migliore dal 2015
Nonostante i 35 giorni di shutdown, nel quarto trimestre 2018 la crescita economica Usa ha registrato un +2,6%, contro attese per un +2,2%. Il 2018 si è così chiuso, stando a questa stima, con una crescita di poco inferiore al 3% (+2,9%), record dal 2015.
L’espansione economica americana frena il passo nel quarto trimestre 2018. Ma consente a Donald Trump, per ora, di tirare un sospiro di sollievo. Nelle ore del summit fallito con la Corea del Nord, e all’indomani della drammatica testimonianza in Congresso del suo ex faccendiere Michael Cohen sugli scandali che lo assediano, l’amministrazione statunitense ha potuto contare su una sorpresa positiva in arrivo dal Pil: se la crescita ha perso smalto, è riuscita ugualmente a marciare al ritmo del 2,6% negli ultimi tre mesi dell’anno scorso. Più modesto del 3,4% dei precedenti tre mesi e del 4,2% del secondo trimestre 2018; superiore però a previsioni ferme al 2,2 per cento.
Per l’intero anno scorso l’espansione - quando misurata paragonando quarto trimestre 2018 a quarto trimestre 2017 - ha superato la soglia del 3% promessa dalla stessa Casa Bianca, raggiungendo il 3,1 per cento. Anche utilizzando un’altra metodologia di calcolo della crescita, che considera l’intero output nel 2018 rispetto al 2017, il passo annuale è stato del 2,9%, di fatto a pari merito con il 2015 per la miglior performance dal 2005, come ha sottolineato Mickey Levy, senior economisti di Berenberg.
«Il dato sul Pil appare incoraggiante alla luce della confluenza di fattori negativi nel quarto trimestre, correzioni sul mercato azionario, paure recessive, debolezza globale e shutdown del governo federale», ha precisato Levy. La crescita tra ottobre e dicembre è stata guidata da un aumento del 2,8% nei consumi, che rappresentano due terzi dell’output Usa e hanno contribuito 1,9 punti percentuali alla crescita. Al cospetto del 3,5% riportato nel terzo trimestre 2018 hanno tuttavia evidenziato una maggior fragilità.
Gli investimenti aziendali, che comprendono attrezzature, software e ricerca, si sono invece dimostrati un punto di forza: hanno accelerato dal 2,5% precedente al 6,2% portando in dote 0,8% percentuali alla crescita. Gli investimenti in proprietà intellettuale, in particolare, hanno evidenziato un’impennata del 13,1%. Ulteriore sostegno è arrivato dalle scorte di magazzino delle imprese (+0,13 punti), mentre qualche ostacolo è stato creato dalla bilancia commerciale (che ha risentito delle guerre dei dazi e limato 0,22 punti dal Pil) e da battute d’arresto nella spesa pubblica federale. Il vero tallone d’Achille è parso il settore immobiliare, che ha sofferto una contrazione del 3,5 per cento.
Sono tuttavia anzitutto gli interrogativi sul futuro della crescita, che hanno tenuto in scacco Wall Street, a non essere svaniti. L’espansione statunitense è entrata nel 2019 ancora sotto la spinta del taglio delle imposte aziendali firmata da Trump e degli effetti delle continue politiche accomodanti della Federal Reserve, abbastanza da avviarsi a diventare la più lunga di sempre verso la metà del 2019 quando dovrebbe entrare nel suo 11° anno. Ma all’orizzonte, sia secondo gli analisti di Wall Street che la Fed, si moltiplicano gli ostacoli, dalle incertezze sul commercio al contagio della debolezza che attanaglia Europa e Asia, fino a incognite domestiche quali le dure polemiche politiche e l’esaurimento della propulsione dello stimolo fiscale.
La Banca centrale, in omaggio ai nuovi rischi enucleati dal chairman Jerome Powell solo nei giorni scorsi nel suo intervento semestrale in Parlamento, è reduce da uno stop indefinito alle pur graduali strategie di normalizzazione di politica monetaria. Pronostica un’espansione che rallenti al 2,3% quest’anno e una crescita potenziale nel lungo periodo limitata all’1,9 per cento. In aumento sono anche timori di un recessione in agguato forse l’anno prossimo. Illustrando il quadro globale, l’agenzia di valutazione del credito Moody’s ha ieri sottolineato la «decelerazione della crescita» e un «equilibrio dei rischi orientato verso la debolezza».
Il sipario sul Pil del quarto trimestre è stato sollevato con oltre un mese di ritardo, alimentando l’attesa: era previsto il 30 gennaio ma lo shutdown record di 35 giorni del governo federale per polemiche sul budget a cavallo di vecchio e nuovo anno aveva paralizzato l’elaborazione di alcune statistiche economiche.