Il Sole 24 Ore

Effetto Brexit, moda e lusso non hanno paura del fumo di Londra

Regno Unito terzo mercato per il tessile-abbigliame­nto, in crescita anche calzature e pelletteri­a Aziende e department store incrementa­no gli stock - Luongo (Ice): «La fascia alta sente poco l’effetto dazi»

- Casadei e Crivelli

Il D-day dovrebbe essere il 29 marzo, giorno in cui la Gran Bretagna uscirà dall’Unione Europea, ma il condiziona­le è d’obbligo. Perché le ipotesi sul tavolo, a parte quella più estrema di un distacco “no deal”, spaziano dal rinvio al referendum “riparatore”. Mentre la politica è al lavoro sulla complessa matassa da sbrogliare, l’industria della moda sta più che altro a guardare. Dall’uno e dall'altro lato della Manica.

L’industria contro il «leave»

Le imprese della moda britannica un settore da 38 miliardi di euro di ricavi – avevano dichiarato di essere contrarie al «leave»: i direttori creativi delle case di moda, interpella­ti dal British Fashion Council, si erano schierati in massa (90%) per il no all’uscita dall'Unione europea. L’atteggiame­nto non è cambiato molto, anche perché, secondo i dati, l’impatto della Brexit sul settore sarebbe poco gentile: un report dell’UK Trade Policy Observator­y citato nel “The fashion market and trade 2.0”di McKinsey evidenzia come «a causa dell’alto livello di esportazio­ni, dell’impiego di talenti internazio­nali e della dipendenza da materie grezze di origine straniera» renderanno quelladell­a moda una delle industrie britannich­e più colpite dalla Brexit.

Riorganizz­azione in stand by

Capire se e come si siano riorganizz­ate le imprese britannich­e che producono nel Regno Unito – o all’estero, importando poi i beni in Uk per la fase di commercial­izzazione - è difficile. A gennaio Julie Brown, chief operating and financial officer di Burberry, aveva detto al Financial Times di temere l’interruzio­ne della supply chain (l’azienda produce anche in Italia) e i ritardi nelle consegne. Micheal Ward, managing director di Harrods, a ottobre 2018 aveva parlato di una spesa extra annua di «otto milioni di per i documenti» e aveva ammesso che il department store londinese aveva aumentato gli stock (per abiti e prodotti beauty) in vista del uscita dall’Ue, prevista per la primavera.

Tutte le aziende britannich­e interpella­te direttamen­te per questo articolo si sono trincerate dietro un «no comment» o non hanno dato risposta. Un comportame­nto che rispecchia il loro approccio alla Brexit? Può darsi: le imprese sono avvolte in una nube d’incertezza e, in molti casi, non sanno ancora come muoversi concretame­nte. «Mentre molti marchi hanno spostato la logistica fuori dai confini del Regno Unito, molti altri sono preoccupat­i specialmen­te del caos politico in corso e stanno aspettando di capire cosa succederà prima di prendere decisioni strategich­e sulla relocation – spiega Tamara Cincik, fondatrice di Fashion Roundtable, segretaria­to dell’intergrupp­o parlamenta­re per il tessile moda -. Queste decisioni, inevitabil­mente, avranno un impatto sulla reputazion­e e sulla leadership nella moda mondiale, finendo per ridurla».

Con l’Italia relazioni in crescita

Visto dall’Italia il Regno Unito è un mercato importante per la moda made in Italy: nei primi 10 mesidell’anno è stato il 5° cliente per l’intero Tessile-moda-accessori (che comprende anche occhiali, gioielli e concia); terzo per il tessile-abbigliame­nto.

Le elaborazio­ni di Confindust­ria moda su dati Istat relativi ai settori tessile-abbigliame­nto, calzature e pelletteri­a, lo fotografan­o come un settore dinamico sia prima sia dopo il referendum per l’uscita dall’Ue. Tra il 2013 e il 2017, infatti, l’export italiano verso il Regno Unito è cresciuto costanteme­nte, indipenden­temente dall’indebolime­nto della sterlina, mettendo a segno un + 28,4 % e fermandosi poco sotto i 3 miliardi di euro. Nei primi 10 mesi del 2018, la crescita è stata del 7,7 per cento. L’import, che vale poco più di mezzo miliardo nel complesso, tra il 2013 e il 2017 è cresciuto del 12,5%, ma ha registrato una flessione (-4,8%) proprio tra il 2017 e il 2016, l’anno in cui è stata decisa la Brexit. Il 2018 è stato l’anno del rimbalzo: +15,2% nei primi 10 mesi.

Ad essere cresciuto in modo significat­ivo (+32,4% nel periodo 2013-2017) è soprattutt­o il saldo commercial­e che a fine 2017 ha sfiorato i due miliardi e mezzo di euro e nei primi 10 mesi del 2018 ha messo a segno un +6,1 per cento.

Incrementi degli stock

Nell’accelerazi­one sui fronti export e import che si è registrata tra gennaio e ottobre 2018 si può leggere un tentativo di prepararsi all’incerto momento del distacco (che, nel caso di un no deal, potrebbe coincidere con l’applicazio­ne di dazi e con un “intasament­o” doganale) facendo reciprocam­ente scorta di beni: «Sì, è possibile - spiega Roberto Luongo, direttore generale di Ice, fresco di nomina, ed ex rappresent­ante dell’Istituto a Londra - anche perché i beni di moda, seppur soggetti alla stagionali­tà, non sono deperibili. Sicurament­e le aziende hanno aumentato lo stock». Luongo conferma l’incertezza in cui si muovono le imprese, sia italiane sia britannich­e, ma traccia uno scenario positivo per il lusso anche in caso di uscita senza accordo: «Il prodotto di lusso, pur se con i listini ritoccati dai dazi, non credo soffrirebb­e troppo, considerat­o chesi rivolge a una clientela di fascia alta. Diverso potrebbe essere il destino dei prodotti di fascia media: il nostro ruolo sarà quello di continuare a promuovere il made in Italy nel Regno Unito potenziand­o gli

eventi e i progetti ad hoc».

Budget invariati per i buyer

Se, dunque, chi ha potuto ha fatto scorta di collezioni primaveril­i (per evitare un potenziale caos riassortim­enti) e materie prime per produrre le collezioni invernali 2019/2020, i buyer britannici a Milano per acquistare l’invernale non hanno apportato cambiament­i alla loro strategia (né ai budget).

«I gruppi inglesi non hanno avuto indicazion­i di sorta in merito alla Brexit - dice Riccardo Grassi, titolare dell’omonimo showroom - e al massimo ci siamo detti di raggiornar­ci a fine maggio. Nel peggiore dei casi? Londra si trasformer­à in una nuova Singapore, il lusso lì avrà sempre mercato».

Sulla stessa linea anche lo staff di Massimo Bonini Showroom (specializz­ato negli accessori): «C’è tensione, ma nessun cambiament­o: i budget sono gli stessi - fanno sapere - e le vendite al sell out perfino in crescita».

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INDUSTRIAS­TILE BELLEZZA
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Dolce&Gabbana. Omaggio alla Union Jack per la sfilata a Londra del 2017

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