Def, parte la corsa alle risorse e i tagli salgono a 2,6 miliardi
Nella maggioranza molte ricette. Dal dossier bonus fiscali almeno 4 miliardi
Lo sguardo della maggioranza è rivolto soprattutto alle prossime consultazioni elettorali, in primis alle elezioni europee di maggio. Ma nei ministeri, e nelle stesse forze politiche che sostengono il Governo, è già partita la corsa all’individuazione delle risorse per puntellare il Def in arrivo ad aprile e, soprattutto, la prossima manovra economica su cui grava il fardello di 23 miliardi di clausole Iva da sterilizzare. Con l’incognita della maxi-correzione che potrebbe chiedere Bruxelles nelle prossime settimane. Di dossier veri e propri sul tavolo non ce ne sono ancora molti. Ne è stato, ad esempio, riaperto uno sulla revisione delle tax expenditures, su cui puntano forte i Cinquestelle ma che non sembra affascinare troppo la Lega, dalla quale potrebbe però arrivare la spinta in autunno per superare l’attuale configurazione degli “80 euro” magari per inglobarli, nell’ambito della riforma tributaria, nella fiscalità generale. Ogni tanto, poi, rispuntano le simulazioni tecniche su un possibile aumento parziale dell’Iva (facendo salire l’aliquota ordinaria del 22% al 23%). Che viene sistematicamente smentito dal Governo, a partire dal premier Giuseppe Conte, ma che continua ad essere argomento di discussione tra i tecnici dell’esecutivo. Al momento c’è solo un primo passaggio quasi obbligato: far salire già nei prossimi mesi la spending review vera e propria a quota 2,6 miliardi in attesa, tra l’altro, dell’esito del monitoraggio sui costi per quota 100 e reddito di cittadinanza.
Se l’andamendo di deficit e crescita continueranno a risultare non in linea con i target fissati dal Governo, la revisione della spesa “diretta”, limitata dall’ultima manovra a 600 milioni (1,4 miliardi tenendo conto anche delle riprogrammazioni e rimodulazioni di alcuni trasferimenti), dovrà di fatto lievitare facendo scattare la “garanzia” di due miliardi dei budget dei ministeri congelati proprio con l’ultima legge di bilancio. E l’asticella potrebbe salire ulteriormente nel corso dell’anno se dal monitoraggio dei costi sostenuti per quota 100 e reddito di cittadinanza dovessero emergere scostamenti rispetto ai tetti di spesa fissati dalla manovra. Un’eventualità che potrebbe rendere complicato l’avvio di una nuova consistente fase di spending review per il 2020, indicata dal vicepremier Luigi Di Maio nell’intervista rilasciata giovedì al Sole 24 Ore per recuperare le risorse necessarie per far scattare un taglio del cuneo. Che, insieme alla riforma fiscale, al rilancio delle opere pubbliche e all’avvio della potatura delle tax expenditures, dovrebbe rappresentare il cuore del prossimo Def.
Cifre non ne circolano ancora visto che per ora gli interventi sono solo abbozzati o poco più. Ma con il nuovo “pacchetto spending review” il Governo potrebbe pensare di recuperare dai 2 ai 4 miliardi, anche se a tutt’oggi la task force taglia-forbici più volte evocata da Di Maio non risulta insediata. Almeno altri 3 o 4 miliardi (molti di più secondo il M5S) potrebbero essere garantiti da una prima sfoltitura della cosiddetta giungla degli sconti fiscali.
Il nuovo dossier aperto al Mef non può che partire dall’ultimo rapporto sulle spese fiscali messo a punto dall’apposita commissione guidata da Mauro Marè (sempre sotto l’egida del ministero dell’Economia). Da questa rilevazione è emerso che gli sconti e i bonus monitorati sono saliti nel 2018 a quota 513 per 61,1 miliardi di minori entrate nel 2019. Secondo i tecnici che hanno curato il rapporto, il solo abbassamento dell’asticella delle agevolazioni fiscali dal 19% al 17% potrebbe garantire 1 miliardo di risorse, e altri 2 miliardi potrebbero essere ricavati scendendo a quota 15 per cento. Con l’introduzione di una franchigia di 300 euro potrebbe poi essere recuperato un altro miliardo. In tutto, quindi, 4 miliardi. Ora però l’obiettivo del Governo sarebbe quello di operare una potatura selettiva ma a ampio raggio, concentrando le attenzioni soprattutto sui bonus per il settore dei trasporti (a partire da quelli su prodotti inquinanti, come i carburanti) e forse su quello delle assicurazioni, ma senza risparmiare micro-incentivi di altra natura.