Blitz della Lombardia sulle centrali idroelettriche
Le gare apriranno la possibilità agli operatori esteri di entrare in Italia
Il “blitz” lombardo nel settore idroelettrico vale circa 2,5 miliardi di investimenti sul territorio regionale, almeno il 40% del totale nazionale. È questa la ragione per cui l’emendamento alla legge sulla semplificazione, concepito ufficiosamente nelle stanze di Palazzo Lombardia dai tecnici della giunta Fontana, è stato il primo che la Regione Lombardia ha voluto portarsi a casa nel contesto di un incerto processo verso l’autonomia. Le risorse sono poche ma certi, dicono in Regione.
Il business passa di mano
Le 20 centrali idroelettriche lombarde hanno un giro d’affari tra i 500 e i 700 milioni all’anno (è il territorio più rappresentativo in Italia nel settore). Sono concentrate nel nord della Lombardia, vengono gestite prevalentemente da A2a, seguita da Edison e Italgen e la loro proprietà è finora stata in mano allo Stato, a causa di un vuoto normativo.
Teoricamente erano state trasferite alle Regioni già dal 1999, peccato che mancassero i decreti attuativi, mai scritti, quindi niente di fatto. Così il governo Monti nel 2012 ha prorogato la proprietà statale, forzando la decisione del legislatore, motivo per cui l’Europa ha messo l’Italia in procedura d’infrazione nel campo idroelettrico. Quindi, nonostante le intenzioni di quasi 20 anni fa, non è mai cambiato niente. Fino ad oggi. La lobby lombarda ha aggirato i tempi prevedibilmente lunghi della legge sull’autonomia regionale e in questo settore ha cercato un traino più sicuro, il Dl semplificazione appunto.
Ora la Regione Lombardia bandirà nuove gare entro il 2023, come chiesto dalla nuova norma, mentre le regole dovranno essere redatte già entro il 2020. Al momento la Lombardia sembra puntare ad una gestione misto pubblico-privato, con concessioni fino a 40 anni.
L’obiettivo è mantenere nel territorio gli investimenti, che a livello nazionale sono stimati in 5 miliardi e 45mila posti di lavoro per i prossimi 5 anni. In Lombardia le ricadute sono trai 2 e i 3 miliardi, con nuovi possibili 20mila addetti. Un piatto abbastanza ricco che i vertici regionali non si sono voluti far scappare.
Tradotto in opere concrete, gli investimenti possono riguardare l’energia gratuita in luoghi e istituzioni da stabilire, la riduzione del rischio idrogeologico, l’abbattimento del costo energetico per le imprese, la depurazione, il miglioramento delle strutture ospedaliere nelle zone di montagna.
Le aziende critiche
Prima di tutto in questo momento c’è bisogno di una ricognizione più precisa del settore, pertanto nelle società entreranno dei tecnici regionali che andranno a vedere meglio il giro d’affari e il valore degli investimenti, così da creare una base veritiera per le gare. Questo lavoro si svolgerà entro il 2020. Già l’idea non genera entusiasmi nelle aziende che operano nell’idroelettrico, che lamentano lo scarso coinvolgimento nelle scelte regionali. Inoltre, fatto fondamentale, le società dell’idroelettrico dovranno pagare canoni che aumenteranno tra il 70 e il 100% (visto che dovranno essere recuperati anche i soldi non versati relativi al lungo periodo di proroga nazionale). Le società sottolineano che così caleranno gli utili, e quindi anche la possibilità, paradossalmente, di fare ricerca e investimenti.
Infine, c’è il fatto spinoso della concorrenza con l’estero. Se è vero che le gare regionali apriranno la possibilità agli operatori di altri paesi di entrare in Italia, il contrario non sempre sarà possibile, visto che le concessioni in alcuni paesi sono molto lunghe. In Olanda e in Francia, ad esempio, si arriva a 75 anni, mentre in Svezia, Norvegia e Regno Unito sono illimitate.