COME RAFFORZARE IL RUOLO DELL’ITALIA SUI MERCATI
Sotto la superficie di relazioni commerciali internazionali meno distese e più controverse rispetto a qualche anno fa, il fiume carsico degli accordi e delle fusioni tra imprese di Paesi diversi continua a disegnare una nuova mappa della produzione e degli scambi globali. Come riportato da ilsole24ore.com (http:/ /24o.it/MA), le acquisizioni o fusioni tra aziende statunitensi e italiane hanno raggiunto un picco storico nell’ultimo lustro, per declinare soltanto negli ultimi mesi, complice la difficile congiuntura e i venti di guerra commerciale. Su scala globale, negli ultimi anni si è assistito al record storico di M&A in alcuni comparti quali la farmaceutica e le biotecnologie oppure il fintech. Il panorama produttivo internazionale, soprattutto nel settore manifatturiero, si è andato riorganizzando con un focus regionale: le tre grandi aree continentali avanzate hanno sperimentato un accentramento verso i nodi principali (gli Stati Uniti nelle Americhe, la Germania in Europa e i poli giapponese e cinese in Asia orientale), con un richiamo di fasi produttive da localizzazioni remote e il rafforzamento dei legami tra Paesi fornitori di componenti (Italia) e Paesi esportatori finali verso il resto del mondo (Germania).
Le catene globali del valore, frutto di investimenti diretti dall’estero e fusioni, sono congegni al tempo stesso solidi perché ben radicati in motivazioni forti di interesse economico (la specializzazione produttiva, le economie di scala) e delicati perché gli elementi di rischio possono avere impatti negativi e suggerire connessioni alternative. Da una recente ricerca del Luiss Lab, emerge come il rischio sovrano e il rischio di credito abbiano significativi effetti di scoraggiamento rispetto agli investimenti in Paesi emergenti e come, quindi, possano indurre gli imprenditori stranieri a preferire Paesi più stabili per costruire o estendere le catene globali del valore. Su questo punto, una riflessione andrebbe fatta rispetto al concetto stesso di interesse nazionale e con riferimento al nostro Paese.
Nonostante la congiuntura debole in Italia e in Europa, le prospettive di medio e lungo termine dell’industria e dell’economia sono buone. Il Paese dispone di una ricchezza privata che è un multiplo del debito pubblico, e l’accumulazione di ricchezza finanziaria di famiglie e imprese è proseguita anche in questa fase. Appare inoltre sempre più chiaro come, a distanza di più di dieci anni dall’inizio della più grande crisi economica del dopoguerra, la qualità e la tenacia degli esportatori italiani sia un cardine solido, che ha dato un contributo cruciale per sostenere l’economia e quindi la società italiana.
Dopo il crollo del commercio mondiale del 2009, l’export nazionale ha risalito la china, sostenendo la dinamica del reddito nella seconda recessione del 2011 e accompagnando la lenta ripresa dei consumi, prima, e degli investimenti privati, poi. Con 450 miliardi di euro di esportazioni, il sistema produttivo ha realizzato il record storico delle vendite all’estero. Per meglio valutare questi risultati e gli scenari futuri, la chiave di lettura delle catene del valore ovvero delle sequenze di fasi produttive che dagli input iniziali conducono ai prodotti finali passando per i beni intermedi, è imprescindibile. Si tratta di sequenze ormai in larga parte internazionalizzate, che comportano quindi che una gran parte del commercio estero si realizzi in scambi di semilavorati e componenti tra imprese, e non dalle imprese verso i clienti finali.
Per rafforzare il ruolo dell’Italia nel commercio globale occorre rimuovere gli ostacoli e i fattori di incertezza e rischio che limitano sia gli investimenti produttivi esteri nel nostro Paese, sia quelli delle aziende italiane all’estero. Non si tratta qui di fare del semplicistico illuminismo globalista, né di negare che un Paese con il suo governo e le sue imprese debba battersi per realizzare al meglio l’interesse nazionale. Si tratta, invece, di definire bene quell’interesse. Gli accordi in fieri tra Stati Uniti e Cina dimostrano come la forza delle ragioni economiche (quelle della Cina per esportare e quelle degli Usa per mantenere alta la quotazione di borsa delle imprese americane che hanno investito in Oriente) possa metter fine ai dissidi commerciali. In termini del nostro interesse nazionale, un ambiente commerciale disteso e buone relazioni con i nostri principali partner economici sono cruciali per l’Italia, così come la fiducia che gli investitori esteri ripongono nel nostro Paese.