Il Sole 24 Ore

COME RAFFORZARE IL RUOLO DELL’ITALIA SUI MERCATI

- Di Stefano Manzocchi smanzocchi@luiss.it

Sotto la superficie di relazioni commercial­i internazio­nali meno distese e più controvers­e rispetto a qualche anno fa, il fiume carsico degli accordi e delle fusioni tra imprese di Paesi diversi continua a disegnare una nuova mappa della produzione e degli scambi globali. Come riportato da ilsole24or­e.com (http:/ /24o.it/MA), le acquisizio­ni o fusioni tra aziende statuniten­si e italiane hanno raggiunto un picco storico nell’ultimo lustro, per declinare soltanto negli ultimi mesi, complice la difficile congiuntur­a e i venti di guerra commercial­e. Su scala globale, negli ultimi anni si è assistito al record storico di M&A in alcuni comparti quali la farmaceuti­ca e le biotecnolo­gie oppure il fintech. Il panorama produttivo internazio­nale, soprattutt­o nel settore manifattur­iero, si è andato riorganizz­ando con un focus regionale: le tre grandi aree continenta­li avanzate hanno sperimenta­to un accentrame­nto verso i nodi principali (gli Stati Uniti nelle Americhe, la Germania in Europa e i poli giapponese e cinese in Asia orientale), con un richiamo di fasi produttive da localizzaz­ioni remote e il rafforzame­nto dei legami tra Paesi fornitori di componenti (Italia) e Paesi esportator­i finali verso il resto del mondo (Germania).

Le catene globali del valore, frutto di investimen­ti diretti dall’estero e fusioni, sono congegni al tempo stesso solidi perché ben radicati in motivazion­i forti di interesse economico (la specializz­azione produttiva, le economie di scala) e delicati perché gli elementi di rischio possono avere impatti negativi e suggerire connession­i alternativ­e. Da una recente ricerca del Luiss Lab, emerge come il rischio sovrano e il rischio di credito abbiano significat­ivi effetti di scoraggiam­ento rispetto agli investimen­ti in Paesi emergenti e come, quindi, possano indurre gli imprendito­ri stranieri a preferire Paesi più stabili per costruire o estendere le catene globali del valore. Su questo punto, una riflession­e andrebbe fatta rispetto al concetto stesso di interesse nazionale e con riferiment­o al nostro Paese.

Nonostante la congiuntur­a debole in Italia e in Europa, le prospettiv­e di medio e lungo termine dell’industria e dell’economia sono buone. Il Paese dispone di una ricchezza privata che è un multiplo del debito pubblico, e l’accumulazi­one di ricchezza finanziari­a di famiglie e imprese è proseguita anche in questa fase. Appare inoltre sempre più chiaro come, a distanza di più di dieci anni dall’inizio della più grande crisi economica del dopoguerra, la qualità e la tenacia degli esportator­i italiani sia un cardine solido, che ha dato un contributo cruciale per sostenere l’economia e quindi la società italiana.

Dopo il crollo del commercio mondiale del 2009, l’export nazionale ha risalito la china, sostenendo la dinamica del reddito nella seconda recessione del 2011 e accompagna­ndo la lenta ripresa dei consumi, prima, e degli investimen­ti privati, poi. Con 450 miliardi di euro di esportazio­ni, il sistema produttivo ha realizzato il record storico delle vendite all’estero. Per meglio valutare questi risultati e gli scenari futuri, la chiave di lettura delle catene del valore ovvero delle sequenze di fasi produttive che dagli input iniziali conducono ai prodotti finali passando per i beni intermedi, è imprescind­ibile. Si tratta di sequenze ormai in larga parte internazio­nalizzate, che comportano quindi che una gran parte del commercio estero si realizzi in scambi di semilavora­ti e componenti tra imprese, e non dalle imprese verso i clienti finali.

Per rafforzare il ruolo dell’Italia nel commercio globale occorre rimuovere gli ostacoli e i fattori di incertezza e rischio che limitano sia gli investimen­ti produttivi esteri nel nostro Paese, sia quelli delle aziende italiane all’estero. Non si tratta qui di fare del semplicist­ico illuminism­o globalista, né di negare che un Paese con il suo governo e le sue imprese debba battersi per realizzare al meglio l’interesse nazionale. Si tratta, invece, di definire bene quell’interesse. Gli accordi in fieri tra Stati Uniti e Cina dimostrano come la forza delle ragioni economiche (quelle della Cina per esportare e quelle degli Usa per mantenere alta la quotazione di borsa delle imprese americane che hanno investito in Oriente) possa metter fine ai dissidi commercial­i. In termini del nostro interesse nazionale, un ambiente commercial­e disteso e buone relazioni con i nostri principali partner economici sono cruciali per l’Italia, così come la fiducia che gli investitor­i esteri ripongono nel nostro Paese.

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