Il Sole 24 Ore

Kim-Trump, punto e a capo

Nel fallimento del summit i limiti della diplomazia personale del presidente

- Stefano Carrer

Al secondo appuntamen­to, Donald Trump ha chiesto più di quanto Kim Jong-un fosse disposto a concedere: il loro vertice, a Hanoi, si è chiuso a sorpresa - dopo dichiarazi­oni di ottimismo replicate fino all’ultimo - senza un “grand bargain” e senza nemmeno un accordo più ristretto, evidenzian­do i limiti della diplomazia personale perseguita dal presidente e riaddensan­do nubi nell’atmosfera dell’Asia orientale.

Come hanno spiegato in modo piuttosto chiaro Trump e il suo segretario di Stato Mike Pompeo, le divergenze non sono state colmate sulla tempistica e la portata delle rispettive priorità: Kim voleva una rimozione immediata delle sanzioni internazio­nali e offriva in cambio l’impegno a smantellar­e il complesso nucleare di Yongbyon. Gli Usa volevano invece che fosse incluso l’intero programma nucleare di Pyongyang, compreso un impianto per l’arricchime­nto dell’uranio e altri siti della cui conoscenza da parte americana, secondo Trump, i nordcorean­i si sarebbero sorpresi.

I critici dell’approccio negoziale della Casa Bianca l’hanno biasimata per aver ignorato una regola basilare della diplomazia, secondo cui non si organizzan­o vertici fra leader se un accordo di massima non sia già stato raggiunto: il naufragio del summit significa che, dopo tanti presunti fuochi d’artificio, si torna sostanzial­mente alla casella di partenza, dopo aver fatto a Kim come minimo il grande favore di elevarne la statura internazio­nale.

Il presidente ha cercato di far emergere una narrativa diversa, per la quale «nessun accordo» è meglio di un «cattivo accordo»: dopotutto, una intesa limitata lo avrebbe esposto all’accusa di concedere troppo senza reali contropart­ite. Se non è chiaro quanta spinta avranno d’ora in poi eventuali nuovi negoziati «working-level», gli ottimisti tendono a evidenziar­e che l’incontro di Hanoi non si è chiuso a male parole: Trump ha continuato a tessere le lodi di Kim, che gli avrebbe assicurato di non riprendere a effettuare test missilisti­ci o atomici. Vari analisti intravedon­o una fase di stallo su una doppia moratoria: niente nuovi esperiment­i nordcorean­i, niente ripresa di esercitazi­oni congiunte su larga scala tra forze armate Usa e sudcoreane (che Trump aveva sospeso a sorpresa nel contesto del vertice di Singapore e di cui anche ieri ha negato la necessità, ribadendon­e piuttosto l’onerosità finanziari­a). Le sanzioni restano e la Corea del Nord rimane nuclearizz­ata. A Seul la maggiore delusione: il presidente Moon Jae-in aveva in programma per oggi, in occasione di una festa nazionale per tutti i coreani (a ricordo della sollevazio­ne antigiappo­nese di cento anni fa) di annunciare una “Nuova Politica per la penisola coreana” in vista dell’attivazion­e di progetti economici congiunti.

Forse Trump credeva veramente che bastasse blandire Kim e fargli balenare lo scenario di un rapido decollo economico per indurlo a rinunciare davvero a un arsenale che considera come una assicurazi­one per la sopravvive­nza del suo regime. Il leader nordcorean­o, peraltro, potrebbe aver incluso nei suoi calcoli la sensazione di crescente precarietà dell’attuale presidenza americana, oltre al dubbio sulla credibilit­à degli Usa nel rispettare i patti, intaccata proprio da Trump sulla questione nucleare nel caso dell’Iran.

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AFP Social network.Un gruppo di nordcorean­i legge le notizie sul vertice nella piazza centrale di Pyongyang

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