Donazione esente se la nuda proprietà ha diritto di voto
La distribuzione utili può restare un potere dell’usufruttuario
Non si paga l’imposta di donazione se si stipula un contratto di donazione avente a oggetto la quota di controllo di una società a responsabilità limitata e il donante si riserva l’usufrutto, ma attribuendo al nudo proprietario ogni diritto di voto in assemblea, tranne quello da esprimere in sede di deliberazione di distribuzione dell’utile di esercizio, che il donante si riserva.
È quanto deciso dalla Ctr Lazio (sezione 16) con la sentenza 186 del 22 gennaio 2019. Al giudizio della Ctp di Roma, prima, e poi della Commissione regionale è giunto il caso di una donazione, dal padre ai due figli pro indiviso, della nuda proprietà della quota rappresentativa dell’intero capitale sociale di una Srl.
Il padre donante si era riservato l’usufrutto (per sé e, dopo di sé, a favore della moglie) consistente nel diritto di percezione del dividendo e nel diritto di voto esprimibile con riguardo alla deliberazione di distribuzione dell’utile di esercizio. Ogni altro diritto di voto era stato invece attribuito alla comunione dei figli nudi proprietari, vale a dire: nelle deliberazioni di approvazione del bilancio, nelle deliberazioni di nomina delle cariche sociali, nelle deliberazioni di attribuzione del compenso agli amministratori, nelle deliberazioni concernenti modifiche statutarie o operazioni straordinarie.
La donazione era stata stipulata nel rispetto delle condizioni previste dall’articolo 3, comma 4-ter, Dlgs 346/1990 per l’ottenimento dell’agevolazione consistente nell’esclusione dell’applicazione dell’imposta di successione:
a) la donazione aveva per oggetto una quota “di controllo” della società (per tale intendendosi, ai sensi dell’articolo 2359, comma 1, n. 1 del Codice civile una quota che abbia la correlazione con almeno il 50,01 dei voti esprimibili nell’assemblea di bilancio);
b) il donatario si era impegnato a mantenere il controllo per almeno un quinquennio.
L’agenzia delle Entrate aveva contestato che nel caso in esame la donazione avesse per oggetto una quota “di controllo” della società in questione, stante l’usufrutto residuato in capo al padre donante (e al correlato diritto di voto inerente le deliberazioni di riparto dell’utile di esercizio).
La sentenza di Ctr Lazio si rende pertanto interessante perché è quotidiana, nella vita professionale, l’osservazione di situazioni nelle quali l’imprenditore che si determina al passaggio generazionale dell’azienda di famiglia, vuole in qualche maniera, mantenervi una sua ingerenza.
Secondo, dunque, la Ctr Lazio nel caso osservato è da ravvisare «assolutamente la fattispecie di controllo stabilito dall’articolo 2359 comma 1, n. 1» del Codice civile in quanto viene permesso «ai soci nudi proprietari di esprimere la totalità dei voti in assemblea ordinaria e straordinaria su ogni materia, con una sola limitata eccezione (ripartizione degli utili). È infatti di tutta evidenza che i poteri conferiti attribuiscono in maniera piena e determinante la facoltà di gestire, dirigere e controllare» la società le cui quote sono state oggetto di donazione. All’usufruttario residua infatti solo una limitata «sfera di influenza» relativa «esclusivamente alle delibere inerenti la ripartizione dell’utile, senza avere facoltà di esprimersi neanche sul bilancio di esercizio da cui detto utile trae origine».