Conto da 15 miliardi per le banche con uscite volontarie e incentivate
A fine anno saranno circa 80mila i bancari pensionati col fondo di solidarietà Sileoni: «No al one to one, la via sono le intese Stop alle revisioni dei piani»
Alla fine di quest’anno non sarà molto lontano da 80mila il numero dei lavoratori usciti dalle banche, in prepensionamento volontario, transitando dall’ammortizzatore sociale di settore, il Fondo di solidarietà. Il numero si riferisce a un periodo molto lungo, che va dall’istituzione del fondo, all’inizio degli anni 2000, ad oggi e, tradotto, in euro, diventa l’Everest da 15 miliardi di euro delle banche italiane che, in cima, all’annuncio di ogni piano di riorganizzazione hanno sempre trovato ad attenderle i sindacati, dalla Fabi, alla First Cisl, la Fisac Cgil, la Uilca e Unisin. L’ultimo dato relativo alla permanenza media dei lavoratori sul fondo di solidarietà (che, ancora per un anno, consente di uscire fino a 7 anni prima della maturazione dei requisiti per la pensione), è intorno ai 4 anni, per effetto di piani che hanno riguardato bacini sempre più ampi. Per le banche, in media, il costo annuo si aggira intorno a 56.600 euro (comprendendo 39.800 euro di assegno lordo e 16.800 euro di contribuzione correlata), come si legge nell’ultimo rapporto sul mercato del lavoro nell’industria finanziaria di Abi. Considerato che la durata media delle prestazioni straordinarie all’inizio degli anni 2000 era intorno ai 3 anni e si è poi via via allungata, la moltiplicazione tra anni di permanenza, importo dell’assegno e numero dei lavoratori, consente di calcolare che le banche dalla nascita del fondo alla fine di quest’anno avranno speso, malcontati, 15 miliardi di euro per gli esodi volontari.
La centralità del fondo
Il fondo di solidarietà è sì un ammortizzatore sociale, ma fa parte del contratto ed è finanziato dagli istituti. Per il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, «è intoccabile. È fondamentale per tutti, comprese le banche perché se non ci fosse dovrebbero licenziare e contestualmente dichiarare lo stato di crisi. Ma noi, come sindacato, non accetteremo mai i licenziamenti, come abbiamo spiegato appena pochi giorni fa anche al commissario del gruppo Carige Fabio Innocenzi. E poi non dimentichiamo che l’annuncio dello stato di crisi, per una banca, significa rimanere senza clienti. Questo noi lo sappiamo come sindacato e le banche lo sanno come aziende».
Il caso Bper
Per capire meglio di che cosa stiamo parlando prendiamo l’ultimo piano industriale presentato, quello di Bper che ha annunciato 1.700 uscite, di cui 1.486 grazie a pensionamento e adesione al Fondo di solidarietà e 230 per scadenza di contratti di somministrazione. La manovra del personale permetterà a Bper risparmi running superiori a 80 milioni annui, ma avrà un costo one-off stimato tra 180 e 200 milioni di euro. Ammesso che venga trovato l’accordo con il sindacato, ci sarà sì una riduzione del personale del 9% (da 14.039 del 2018 a 12.739 del 2021) ma, prima, la banca dovrà accantonare 200 milioni, tenendo conto delle severe normative internazionali a cui tutti gli istituti devono attenersi. Non si dimentichi poi il ricambio generazionale che, oltre alla volontarietà delle uscite, è diventata un’altra delle conditio sine qua non degli accordi sindacali. Prendendo sempre come riferimento il piano Bper le assunzioni che la banca ha già messo in conto prima di avviare la trattativa con i sindacati, sono 416.
I giovani e il contratto
La nuova occupazione è uno dei tasselli che oggi entra sempre negli accordi sindacali di gruppo ma che dal 2012 è entrata anche nel contratto collettivo nazionale di lavoro con il Foc, il Fondo per l’occupazione che ha consentito di costruire un sistema di incentivi, sostenuto dagli stessi lavoratori bancari, e che dall’anno in cui è nato ad oggi ha favorito l’ingresso in banca di 20.550 giovani. Il 25 febbraio Abi e i sindacati hanno siglato un accordo con cui hanno sostanzialmente confermato il Foc e il suo impianto. «Dal Foc - spiega Sileoni - passa il 95% delle assunzioni dei giovani in banca e con questo contratto vogliamo colmare il gap economico che c’è per i nuovi assunti che dovranno avere il pieno livello di trattamento economico».
Il caso Carige
La cassetta degli attrezzi che Abi e i sindacati (Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca, Unisin) hanno costruito con il contratto è ricca, sia per i piani di assunzione che per i piani di esodo, di riduzione di orario e di riqualificazione (si veda altro pezzo in pagina). A questa cassetta si aggiunge oggi anche il meccanismo di quota 100. Nei giorni scorsi il commissario di Banca Carige, Fabio Innocenzi, ha spiegato che l’obiettivo dei 1.050 esuberi del piano, potrebbe essere raggiunto anche con quota 100. La trattativa deve ancora essere impostata ma i sindacati, che sono entrati nella fase del rinnovo del contratto collettivo di lavoro, hanno già posto la condizione della volontarietà e dell’accordo sindacale. Una condizione che in questa particolare fase non potrà essere trascurata: nell’istituto ligure il primo sindacato è la Fabi, con il segretario generale che ha già detto che al primo licenziamento verrà bloccato l’intero settore (a seguire ci sono la First Cisl, la Fisac Cgil, la Uilca e Unisin). «Il commissario Innocenzi si può scordare che come sindacato possiamo avallare il one to one - puntualizza Sileoni - e le pressioni sui lavoratori. Per noi non esistono accordi individuali ma solo accordi di gruppo che devono essere fatti con le rappresentanze aziendali. Data la particolare situazione saranno assistite anche dalle segreterie nazionali».
Gli ultimi piani dei gruppi
Mettendo in fila gli ultimi piani industriali dei principali gruppi (si veda la tabella in pagina) la Fabi ha calcolato che hanno previsto la gestione di 26.466 esuberi, tenendo conto anche degli ultimi due piani presentati e degli aggiornamenti che sono stati fatti per alcuni piani. Ad oggi i lavoratori in uscita già previsti dai piani sono 10.832, mentre quelli già usciti sono 15.634. Il piano più importante è stato quello di Intesa Sanpaolo che ha riguardato 7.500 persone, comprendendo i 1.100 lavoratori delle ex banche venete (Popolare di Vicenza e Veneto Banca) acquisite nel 2016 che sono già usciti dal gruppi. Degli altri, invece, 4.500 sono già usciti, mentre 3mila sono in uscita. Unicredit ha indicato 4.450 esuberi nel piano Transform 2019 che è stato aggiornato nel 2018 aggiungendone altri 550, compensati però da 550 assunzioni da realizzare quest’anno. Mps ne aveva indicati 4.800 di cui 3.050 già usciti: ne mancano all’appello 1.750. Ha invece completato il piano che riguardava 2.600 bancari il Banco Bpm.
Gli aggiornamenti
Nel 2019 ci sarà un altro piano in scadenza che è il Transform 2019 di Unicredit, ma non sono esclusi ulteriori aggiornamenti dei piani in atto. «Ci siamo però stancati di continuare a vedere i piani triennali che dopo un anno e mezzo vengono aggiornati - afferma Sileoni -. Sul tema aggiornamenti andremo a vedere le carte fino in fondo, se le ristrutturazioni e le riorganizzazioni non ci convincono perché servono solo per abbattere i costi e per mandare fuori le persone dalle aziende. Non dimentichiamo che i tre requisiti per dichiarare esuberi sono ristrutturazione, riorganizzazione e perdita d’esercizio. Noi chiederemo di dimostrarlo con le carte». In assenza di aggiornamenti per i sindacati è arrivato il momento di dedicarsi alla piattaforma per il rinnovo del contratto che, con una certa lentezza, procede. I tre accordi siglati con Abi il 25 febbraio si possono però considerare un primo importante passo che ha dato una nuova cornice temporale, con la proroga al 31 maggio, e ha tratteggiato alcune delle linee in cui si muoverà il rinnovo, con la conferma del Foc e il rinnovo delle agibilità sindacali.