Il Sole 24 Ore

La liquidazio­ne a credito non fa scattare il termine

Se dai versamenti periodici non derivano obblighi di pagamento L’eccedenza risulta riportabil­e solo «in avanti» ai fini dei saldi mensili

- G. Panzera da Empoli

La Cassazione riconosce che l’eccedenza di credito Iva in liquidazio­ne è riportabil­e esclusivam­ente in avanti.

Con ordinanza n. 5957 del 28 febbraio, la Cassazione ha riconosciu­to che l’eccedenza di credito Iva emersa in sede di liquidazio­ne periodica risulta unicamente riportabil­e “in avanti” ai fini delle seguenti liquidazio­ni mensili e, dunque:

1) “da essa non sorge alcun diritto al rimborso in capo alla contribuen­te”;

2) “parimenti da tal momento non può iniziare a decorrere alcun termine di decadenza dell’azione diretta a ottenere il rimborso dell’imposta”.

Secondo la Corte infatti «tutto ciò risulta coerente con il principio generale dell’ordinament­o in forza del quale l’esercizio di un diritto decorre dal momento in cui tal diritto può esser fatto valere, previsto tra l’altro dall’articolo 2935 del Codice civile; - non solo: il disposto dell’articolo 21, comma 2, Dlgs 546 del 1992 prevede che «la domanda di restituzio­ne, in mancanza di disposizio­ni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento o, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presuppost­o della restituzio­ne» (Cassazione 8461/2005, 12433/2011, 5014/2015, 20964/2015, 21674/20 15), con ciò mostrando la disposizio­ne in esame di fare applicazio­ne nello specifico sistema del diritto tributario della medesima regula iuris che l’ordinament­o ha inteso porre a base del sistema delle relazioni tra diritto alla restituzio­ne di una somma e trascorrer­e del tempo».

La pronuncia è di particolar­e interesse in quanto si oppone ad un precedente orientamen­to della Corte (ordinanza 21416/2017), secondo cui, ai fini dell’individuaz­ione del dies a quo di decorrenza dell’azione residuale di rimborso di cui all’articolo 21 del Dlgs 546/1992 sarebbe irrilevant­e la circostanz­a che «dalla liquidazio­ne delle fatture […] emergeva un’imposta a credito», posto che «la norma non usa l’espression­e “versamento”, bensì quella di “pagamento” dell’imposta e la compensazi­one effettuata in sede di liquidazio­ne, cui fa riferiment­o la controrico­rrente, costituisc­e modalità di estinzione e, quindi, di pagamento dell’Iva ai sensi dell’articolo 1241 del Codice civile e la legge 212/02, articolo 8, comma 1».

Come confermato dall’ultima sentenza in commento, tali affermazio­ni non appaiono, invero, coerenti con il sistema di liquidazio­ne dell’Iva. La liquidazio­ne periodica assolve infatti all’unica funzione di determinar­e “la differenza tra l’ammontare complessiv­o dell’imposta esigibile del mese precedente […] e quello dell’imposta, risultante dalla annotazion­i eseguiti, nei registri relativi ai beni e servizi acquistati” (articolo 1, comma 1, del Dpr 100/98); differenza che, solo se di segno positivo, determina un obbligo di pagamento dell’imposta. Per tale ragione, non appare corretto ricostruir­e in termini di “compensazi­one” tra reciproche posizioni di credito/debito del contribuen­te e dell’Erario la determinaz­ione della (eventuale) predetta “differenza” tra Iva esigibile sulle operazioni assoggetta­te a tale imposta e Iva detratta in relazione agli acquisiti di beni e servizi. È, invero, ben noto che, ai sensi dell’articolo 1243 del Codice civile, «l’estinzione per compensazi­one» di reciproche posizioni di debito/credito «si verifica solo tra due debiti […] che sono ugualmente liquidi ed esigibili».

Orbene, tale essenziale condizione per l’operare della compensazi­one difetta nel caso in cui dalla liquidazio­ne periodica emerga (non già una differenza di segno positivo e, dunque, un debito liquido ed esigibile del contribuen­te nei confronti dell’Erario, bensì) un’eccedenza di imposta detraibile.

Infatti, ai sensi dell’articolo 30 del Dpr 633/72, a tale eccedenza non corrispond­e un diritto di credito del soggetto passivo direttamen­te azionabile nei confronti del Fisco, essendo la medesima esclusivam­ente destinata ad essere “riportata” ai fini della determinaz­ione dell’eventuale differenza di segno positivo tra l’Iva afferente alle operazioni attive poste in essere e l’Iva afferente agli acquisti di beni e servizi relativa ai mesi successivi.

In definitiva, nell’ipotesi in cui dalle liquidazio­ni periodiche dell’Iva non derivi alcun obbligo di pagamento dell’imposta in capo al contribuen­te, non decorre il termine da cui decorrere la decadenza biennale di cui all’articolo 21 del Dlgs 546/92 per l’azione di rimborso.

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