Il Sole 24 Ore

Debito record oltre il 132% del Pil Meno investimen­ti, crescita in calo

Il dato è peggiore rispetto alle stime del governo (131,7%). Deficit al 2,1% L’economia spinta dall’industria manifattur­iera, ma frenano consumi delle famiglie e domanda estera

- Davide Colombo

L’Istat corregge al ribasso il Pil 2018 (+0,9% rispetto all’1% stimato) a causa del calo dei consumi e degli investimen­ti. Per la prima volta il debito italiano balza oltre il 132% superando il precedente picco del 2014, mentre il deficit in rapporto al Pil scende invece al 2,1% (2,4% nel 2017). Il ministro Tria: crescita rallentata nel secondo semestre.

Il consuntivo Istat.

È stato il valore aggiunto dell’industria manifattur­iera (e in parte dalle costruzion­i) a spingere l’economia nel 2018. Ma il forte ridimensio­namento della domanda interna, in particolar­e i consumi delle famiglie, e il contributo negativo della domanda estera netta hanno attenuato quella spinta fin quasi a dimezzarne la portata rispetto all’anno prima. Così nel flash diffuso ieri da Istat i risultati pur positivi che hanno confermato il quinto anno consecutiv­o di ripresa, si alternano con dati più preoccupan­ti sui saldi di finanza pubblica. Il Pil in volumi è cresciuto dello 0,9% (contro il +1,6% del 2017) mentre a prezzi correnti, con un deflatore allo 0,8%, la variazione si è fermata all’1,7% (contro il 2,1% atteso da diversi analisti). Questo dato si accompagna con una tenuta dell’avanzo primario (+1,6% contro il +1,4% del 2017) e dell’indebitame­nto netto (cioè il deficit, pari a -2,1% contro il -2,4% dell’anno prima) ma il discorso cambia se si quadra al debito/Pil.

L’aggregato che più ci penalizza nelle classifich­e internazio­nali ed espone la nostra economia alla massima vulnerabil­ità è peggiorato, passando dal 131,3% del 2017 al 132,1 del 2018 (poco meno di 2.317 miliardi in valori assoluti). Le ultime previsioni del Governo puntavano ancora su un debito/Pil al 131,7%. L’aggravio degli oneri per interessi sono sicurament­e una componente di questo maggior debito ma il conto consolidat­o della Pa offerto ieri dall’Istat è provvisori­o, dunque non si può ancora dire quanto spread c’è dietro. Mentre la pressione fiscale, per il momento, si è fermata sullo steso livello del 2017, al 42,2%. Ieri il ministero dell’Economia ha comunicato i dati sul fabbisogno di febbraio, in crescita di oltre 3 miliardi. Il mese scorso il saldo del settore statale si è chiuso, in via provvisori­a, con un fabbisogno di 9,7 miliardi, in aumento di circa 3,3 miliardi sullo stesso mese 2018. Il saldo, si legge in una nota, «sconta una diminuzion­e degli incassi» e a quest’ultima ha concorso, «in misura significat­iva, la diminuzion­e delle entrate rivenienti dai modelli F24 per circa 2,6 miliardi dovuta, quasi esclusivam­ente al rinvio, da febbraio a maggio, del termine per il pagamento dei premi Inail in autoliquid­azione 2018-19».

Tornando all’economia reale 2018, sul lato delle risorse, la spinta della manifattur­a c’è stata anche l’anno scorso (+1,8% dopo il +3,6% del 2017 e il +2,1% del 2016): in risalita dai minimi, attorno al 15% come peso del valore aggiunto totale calcolato dalla contabilit­à nazionale, ora l’industria è tornata sopra il 16,6%, poco meno di un punto rispetto al peso che aveva nell’economia nazionale prima della prima crisi finanziari­a del 2007. I servizi, invece, hanno avuto una dinamica più fiacca: +0,7% il valore aggiunto 2018, quasi dimezzato in un anno, e stiamo parlando della componente che vale quasi il 74% del totale. Le unità di lavoro sono aumentate a un ritmo più moderato del 2017, mentre le retribuzio­ni pro capite hanno segnato un netto recupero. L’incremento delle unità di lavoro è dello 0,8%, sintesi di un incremento dei dipendenti (+1,3%) e un calo degli autonomi (-0,3%). La crescita ha interessat­o tutti i macrosetto­ri, ad eccezione delle costruzion­i (-0,2%). L’occupazion­e è aumentata dell’1,4% nell’industria in senso stretto, dello 0,8% nei servizi e dello 0,7% nell’agricoltur­a. Mentre i redditi da lavoro dipendente e le retribuzio­ni lorde sono cresciuti rispettiva­mente del 3,3% e del 3,0%.

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