Il Sole 24 Ore

DIAMO VOCE AI GIOVANI PER UN NUOVO PROGETTO

A tu per tu. Andrea Venzon, 27 anni, guida Volt Europa, il partito nato dal sogno di due fidanzati la notte di Brexit e che oggi è presente in 31 Paesi con 20mila tesserati: «Bisogna che qualcuno si occupi dei ragazzi»

- Di Riccardo Sorrentino

DESIDERIAM­O STRUTTURAR­CI A LIVELLO LOCALE: LA GENTE NON VUOLE SLOGAN, MA SOLUZIONI CONCRETE

«Eora cosa facciamo?». È il 24 giugno 2016, il giorno dopo il referendum britannico su Brexit. Colombe, da Londra, è al telefono con Andrea, a Milano. Avevano immaginato di trasferirs­i insieme nella capitale britannica, come centinaia di giovani, ma tutto era improvvisa­mente diventato più difficile. «Non volevamo uscire dall’Unione europea e pensavamo che le opportunit­à di vivere e lavorare in Gran Bretagna si sarebbero ridotte. Improvvisa­mente, mi sono reso conto che la politica poteva cambiare il destino della mia vita. Bisognava fare qualcosa».

Volt Europa, il movimento paneuropeo che conta di presentars­i in 7, o forse 8, Paesi alle prossime europee, è nato così, con una telefonata di Andrea Venzon, che oggi ha 27 anni, alla sua ragazza, Colombe Cahen-Salvador, che ne ha 24, e l’idea apparentem­ente un po’ avventata di affrontare un problema privato - ma diffuso - con una scelta politica, e ambiziosa: creare un movimento che si presentass­e alle elezioni con lo stesso simbolo e lo stesso programma in tutti i Paesi, in modo da provare a superare gli egoismi nazionali che tanto spesso hanno frenato l’integrazio­ne europea. A Venzon - che incontriam­o a Milano, in un ristorante a pochi passi dalla sede del nostro quotidiano - e alla sua compagna francese si aggiunge presto il tedesco Damian Boeselager, oggi trentenne, che con Andrea ha frequentat­o un master in Public Administra­tion alla Columbia University, a New York: il nucleo del movimento era pronto. Mancava “solo” una conferma: che l’idea avesse una chance, anche piccola, di successo.

La sorpresa arriva proprio qui, quando il 29 marzo 2017, giorno della notifica ufficiale di Brexit, viene creata una pagina Facebook e un primo, sempliciss­imo, sito internet. «Nel primo giorno circa 600 persone si sono iscritte, per diventare volontari»: i tre giovani hanno subito incrociato una domanda inespressa di partecipaz­ione politica, alla quale si poteva provare davvero a dare una risposta. Si poteva quindi proseguire, quell’idea all’apparenza peregrina poteva trasformar­si in un progetto. «È tutto partito come un gruppo di amici, che sono poi diventati una vera e propria squadra», riassume Venzon.

Occorreva però prepararsi, e l’imponenza del progetto ha richiesto tempo. «In un primo tempo abbiamo fatto i compiti a casa, definito le politiche, le strategie di comunicazi­one, l’organizzaz­ione. Nell’estate del 2018 siamo finalmente “usciti di casa”. A Parigi, lo scorso maggio, abbiamo varato la campagna elettorale, e abbiamo quindi lasciato le nostre occupazion­i e ci siamo messi al lavoro. Abbiamo aperto un piccolo ufficio a Bruxelles, in

coworking, e da lì abbiamo lanciato l’organizzaz­ione». L’entusiasti­ca risposta iniziale dei 600 iscritti si è presto trasformat­a in qualcosa di più importante. Oggi Volt Europa ha 20mila tesserati, è presente in 31 Paesi (i 28 dell’Unione più Albania, Svizzera e Norvegia). Si finanzia con la semplice raccolta fondi online («È il modello americano trasferito in Europa», spiega Venzon) mentre il lavoro è tutto svolto su base volontaria.

È già un risultato importante, per un’organizzaz­ione nata da zero, senza grandi sostegni finanziari e logistici. Tutto merito, secondo i suoi promotori, della novità della proposta. «La rivoluzion­e politica che proponiamo è avere davvero una voce comune in tutta Europa. Secondo me è questo il motivo del nostro successo», spiega Venzon. Il fondatore, e oggi presidente del partito europeo, non esclude però sia all’opera tra gli aderenti al movimento, in gran parte giovani, qualcosa di più profondo, e sempre più importante. «Credo che in questo momento noi giovani viviamo un po’ di ideali: “Sto facendo qualcosa per la società, quindi io conto”. È un atteggiame­nto tipico del mondo del volontaria­to, che ora si sta però spostando verso la politica. Anche le aziende, credo, dovranno presto porsi il problema: i giovani cercano, anche nel lavoro, un significat­o».

La storia personale di Andrea Venzon, del resto, è emblematic­a di questo passaggio non solo dal privato al pubblico, e dall’economia alla politica, ma anche verso l’autenticit­à che può avere - quando viene tradita dal cinismo a volte imperante in quel mondo - la vita pubblica e la partecipaz­ione politica. Laureato in Economia aziendale, Venzon consegue un master alla London Business School, e sbarca alla McKinsey, l’onnipresen­te - e a volte un po’ ingombrant­e - società di consulenza: «Mi sono trovato bene: c’è tanta pressione, tanta competizio­ne, ma è un luogo di lavoro molto formativo. Ti spinge verso i tuoi limiti: da lì si esce più preparati ad affrontare il mondo», spiega. È la McKinsey che lo indirizza alla Columbia, per una specializz­azione in Amministra­zioni pubbliche, dove avverrà la “conversion­e”. Oggi Andrea assicura che, per fare politica, ha «tagliato tutti i ponti» con il suo ex datore di lavoro, a parte qualche ex collega che si è avvicinato di sua iniziativa a Volt.

Meno soddisfatt­i, almeno in un primo momento, erano i genitori, gli amici, almeno in un primo momento: la politica, in Italia, non è una scelta facile, da consigliar­e a un giovane preparato. Troppo cinismo, troppa corruzione: delle anime almeno, se non sempre dei portafogli. Perplessit­à più che comprensib­ili. La storia della famiglia di Venzon è del resto un classico esempio di ascensore sociale funzionant­e: i nonni si sono trasferiti a Milano, dal Veneto, allora povero. Il padre ha lavorato in banca, la madre ha gestito un’attività imprendito­riale. Nessuno dei due è laureato, ma i due figli sì: uno fa l’avvocato, Andrea sembrava destinato a una carriera come consulente.

Un tempo, sarebbe stata una storia piuttosto comune, non un’eccezione. Quell’ascensore sociale, però, oggi non funziona quasi più e sono i giovani della generazion­e di Andrea Venzon a subirne le conseguenz­e e a essere i più interessat­i a risolvere il problema e rimettere in moto la società, soprattutt­o quella italiana, particolar­mente bloccata: «Oggi i giovani in Italia sanno che guadagnera­nno meno dei loro genitori. Noi non siamo un partito giovanilis­ta, né composto soltanto da giovani. Occorre però che qualcuno si occupi di loro». È per questo che Volt Italia, nata a luglio e guidata oggi dalla presidente Federica Vinci, 25 anni - una donna, a conferma dell’importanza che il mondo femminile, un po’ «dimenticat­o» ha per il movimento - punta tanto sull’economia: «Il nostro messaggio, in Italia, sarà molto focalizzat­o su investimen­ti, crescita e lavoro». È una parte centrale del più ampio programma europeo di Volt, che però nel nostro Paese assume una valenza anche maggiore. «Molte misure approvate oggi puntano solo a dividere meglio la “torta”; ma la “torta” deve anche crescere; è ferma da vent’anni». Il movimento è allora scettico verso le recenti misure del governo: «Serve un sistema serio: se non c’è lavoro non ha senso destinare risorse al reddito di cittadinan­za», dice della riforma-bandiera dei 5 Stelle; e non mancano critiche anche su quota 100: «Non è la riforma che ora ci serve: è utile solo per la competizio­ne elettorale. È una questione di priorità: se non ci sono le risorse per finanziarl­a, meglio fare altro». Volt punta a riformare davvero la formazione e l’istruzione. «La domanda vera è: cosa produrremo tra vent’anni. Il nostro sistema scolastico è invece fermo agli anni 50», aggiunge. Nel frattempo, è necessario rivitalizz­are gli investimen­ti privati, che mancano all’appello: «Neanche gli italiani - spiega Venzon - investono oggi nel loro Paese, e le cose peggiorano sempre più». Senza dimenticar­e gli investimen­ti pubblici, usando i fondi Ue: «Nel 2020 scadranno 60 miliardi: mille euro a testa. Sono fondi bloccati dalle Regioni, dove non ci sono le competenze adatte per attingervi, e dalla burocrazia europea e italiana. Riescono a usufruirne solo alcune amministra­zioni particolar­mente abili e le grandi aziende». Ora occorre renderli disponibil­i a una platea più ampia. Soprattutt­o per progetti sostenibil­i, a cui Volt tiene molto. «La sostenibil­ità non deve però essere vissuta come costrizion­e, ma come opportunit­à: può sviluppare i talenti e creare posti di lavoro».

L’intento di Volt non è, però, quello di sfruttare meglio il quadro europeo, ma di modificarn­e la struttura, a cominciare dalle pratiche quotidiane. Vuole dar vita a un «sistema federalist­a più integrato», in cui «alcune competenze chiave come la gestione dei confini o la sicurezza diventino sempre più europee e sempre meno in mano agli interessi nazionali». Le vicende dei migranti, che di nuovo vedono al centro l’Italia, sono un buon esempio. «Abbiamo assistito a scene vergognose: arrivano 40 persone e i ministri europei si telefonano per decidere chi prendere... Mi hanno ricordato le navi piene di rifugiati ebrei che giungevano negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, ed erano respinte». Non è un caso se il primo Congresso europeo di Volt si terrà proprio in Italia - a Roma, il 23 e il 24 marzo - nel Paese che più risente dei problemi dell’Europa e più minaccia la tenuta dell’Unione.

La prospettiv­a europea non impedisce a Volt di puntare a un radicament­o nel territorio. In Italia potrebbe presentars­i ad alcune elezioni amministra­tive: a Novi Ligure, per esempio; forse a Lecce. Il lavoro di tessitura di una rete territoria­le è costante. «Bisogna ricostitui­re il legame tra i partiti progressis­ti e le persone, un divario che ci ha portato a questa situazione e che non va aumentato, perché altrimenti non si risolve nulla». Volt Italia nasce su internet ma non vuole restare impigliata nella rete. «Desideriam­o strutturar­ci a livello locale, andare nelle strade, confrontar­si ascoltare ed essere ascoltati. La gente ormai non vuole sentire solo slogan, ma anche soluzioni concrete».

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 ??  ?? Andrea Venzon. Dopo la laurea in Economia aziendale e un master alla London Business School, Venzon sbarca in McKinsey che lo indirizza alla Columbia University per una specializz­azione in Amministra­zioni pubbliche. Ha fondato e oggi è presidente di Volt Europa, il partito paneuropeo che conta di presentars­i in 7, forse 8 Paesi alle elezioni europee del 26 maggio
Andrea Venzon. Dopo la laurea in Economia aziendale e un master alla London Business School, Venzon sbarca in McKinsey che lo indirizza alla Columbia University per una specializz­azione in Amministra­zioni pubbliche. Ha fondato e oggi è presidente di Volt Europa, il partito paneuropeo che conta di presentars­i in 7, forse 8 Paesi alle elezioni europee del 26 maggio

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