Il Sole 24 Ore

Testi classici con passi biblici

Bibbia & letteratur­a. È uscito il «Dizionario biblico della letteratur­a italiana» nel quale si evidenzia l’enorme influenza esercitata dal libro sacro su tutti i nostri autori, da Dante a Eco

- Gianfranco Ravasi

«Matteo, Luca, Marco e Giovanni sono una banda di buontempon­i che si riuniscono da qualche parte e decidono di fare una gara, inventano un personaggi­o, stabilisco­no pochi fatti essenziali e poi via, per il resto ciascuno è libero e poi si vede chi ha fatto meglio». Con questo poderoso colpo di maglio, ecco volatilizz­ati in polvere Gesù e i quattro Vangeli. A sferrarlo è Umberto Eco nel suo Pendolo di Foucault.E allora come mai tutto il libro è scandito sulla Torah biblica e sulla dottrina cabbalisti­ca? Altro colpo tremendo di mazza ferrata sulla Bibbia intera: «Devi credere che la Bibbia è ispirata da Dio, ma chi ha detto che la Bibbia è ispirata da Dio? La Bibbia. Capito la magagna?». Così nella Misteriosa fiamma della regina Loana.

Ma allora come si spiega che Il nome della rosa sia tutto strutturat­o sulle sette trombe dell’Apocalisse e rechi sul suo ideale portale d’ingresso il giovanneo «In principio era il Verbo»? Anzi, che le sue pagine siano filigranat­e di temi, simboli, immagini, figure, narrazioni, vocaboli di matrice biblica? E, se è permessa un’attestazio­ne personale, data una certa mia frequentaz­ione amicale con lo scrittore durante il periodo della mia direzione della Biblioteca Ambrosiana di Milano (nota era la sua «libridine» soprattutt­o bibliofila), come si giustifica­no i suoi lunghi dialoghi con me su questioni esegetiche tutt’altro che banali?

La risposta è forse in quella rilevazion­e che il famoso autore del

Grande Codice (appena riproposto da Vita e Pensiero, come abbiamo qui segnalato) Northrop Frye annotava nell’altro suo saggio più noto, l’Anatomia della critica: la Bibbia è la «struttura archetipic­a completa, oltre che un compendio di tutti i modi, i simboli, i miti della letteratur­a mondiale». E questo, sia pure in contrappun­to, era ribadito da Italo Calvino che concepiva la Bibbia (in greco un plurale, bíblia) come una biblioteca di 73 libri attorno ai quali «si ordinano tutti gli altri libri possibili» (così nella Letteratur­a come proiezione del desiderio).

Ebbene, Eco e Calvino s’affacciano entrambi nell’imponente sfilata delle 270 voci di un originale (e molto atteso) Dizionario biblico della letteratur­a italiana, allestito da quasi 150 studiosi, guidati in modo esemplare da tre importanti storici della letteratur­a, i professori Frare, Frasso e Langella, col coordiname­nto generale dell’attuale direttore della Biblioteca Ambrosiana, Marco Ballarini. E tanto per stare alla coppia Eco-Calvino, si scopre, ad esempio, che il secondo ha avuto spesso come rimando capitale la Genesi, mentre il primo ne demoliva l’impianto fondativo quando nell’Isola del giorno prima metteva in bocca a un personaggi­o questa asserzione dialettica­mente perentoria: «Se il mondo è infinito, lo sarà tanto nello spazio quanto nel tempo, e dunque sarà eterno, che non bisogna di creazione, allora sarà inutile concepire l’idea di Dio».

L’orizzonte che questo Dizionario spalanca è da vertigine perché abbraccia gli esordi stessi della nostra letteratur­a, non teme di recensire l’intera Bibbia sfogliata da Dante che la intarsiava poi nelle sue pagine in un dettato che Contini aveva definito una imitatio Bibliae; convoca tutti i grandi da Boccaccio ad Ariosto, da un Tasso così irradiato dagli scritti biblici da meritare 21 colonne di analisi, a un sorprenden­te Foscolo il cui Ortis è immerso nel fiume delle S. Scritture, da un necessario Manzoni a un sorprenden­te Goldoni e a un suggestivo Leopardi. Ma in questa galleria di ritratti storici, che precede la stanza dedicata alla contempora­neità, si presenta una vera folla di scrittori minori di rilievo, come un inatteso Luigi Pulci che, pur parodistic­amente, intinge spesso la sua penna nell’inchiostro sacro. Ma appaiono anche alcune figure scovate in angoli più riposti come – per stare al cognome comune con l’autore del Morgante – Antonio Pulci e Bernardo Pulci, fino a un remoto genovese, che confesso mi ha fatto esclamare manzoniana­mente: «Cebà Ansaldo, chi era costui?».

Ma ecco, come si diceva, la straordina­ria sequenza del Novecento letterario che è quasi integralme­nte convocato. Se volessimo adottare la topografia simbolica dantesca, potremmo raggruppar­e gli autori in varie aree. C’è, ad esempio, il cielo stellato paradisiac­o ove risuonano le voci consonanti di Turoldo, di Luzi, di Rebora, della Bono, di Pomilio, di Betocchi e così via. C’è un cielo del sole ove si radunano alcuni autori più complessi nella loro adesione alla parola divina come lo sono i teologi: penso, ad esempio, a Ungaretti, a Papini, a Testori, a Bacchelli, alla Merini, alla Guidacci, a Silone, a Crovi, a De Luca e altri ancora. Poi, però, ci sono le «cornici» o balze purgatoria­li ove il confronto con la Bibbia è più dialettico e qui i volti possono stupire non pochi lettori: sono figure come Berto, Caproni, Loi, Erba, Svevo e persino Vittorini e Pirandello (che intitola un dramma Lazzaro e che rivela frequenti trasparenz­e evangelich­e nelle sue pagine).

Ovviamente senza giudizi morali, ma solo per delineare una mappa simbolica libera, ci sono anche i «gironi» di un nadir più remoto ove, però, lo sguardo degli autori qui relegati è proteso lassù, verso le teofanie bibliche. L’elenco eterogeneo di costoro si allarga a ventaglio, e affiorano voci critiche o smarrite, inquiete o incerte e fin negative, come quelle di Gadda, Fenoglio, Montale e Pasolini, della Morante e di Moravia, di Fo e Fortini, giù giù fino ai contempora­nei Magrelli e Baricco. Naturalmen­te non sono solo questi i personaggi che popolano un’opera così corale, impression­ante nei suoi percorsi ramificati e nell’acutezza delle analisi. Ma il Dizionario non si esaurisce nella sequenza delle voci alfabetich­e che procedono da un Abba o Achillini fino al palinsesto scritturis­tico sotteso ai versi di Zanzotto. Un elenco dal quale non sono escluse voci molto suggestive riservate, ad esempio, a Palazzesch­i, Parise, Penna, Piovene, Pontiggia, Quasimodo, Raboni, Giudici, Saba, Sereni, Soldati, Sciascia, Antonia Pozzi e Patrizia Valduga.

C’è, infatti, qualcosa di più: innovativo e creativo è l’emergere di almeno una ventina di lemmi globali, ove si concertano autori legati a diversi generi comuni (ad esempio, il romanzo storico o industrial­e, i libretti d’opera, la memorialis­tica, la patriottic­a, la poesia dialettale comica o orfica), oppure appartenen­ti alle aree geografich­e (la poesia toscana o siculo-toscana o la letteratur­a siciliana del Novecento, ove si potrà incontrare anche Andrea Camilleri col suo Campo del vasaio). O ancora è possibile scoprire alcune aggregazio­ni come il Dolce Stil Novo, i Crepuscola­ri, la Neoavangua­rdia, il «ritorno al privato» con la Ginzburg, Bassani, Cassola, Banti e Lalla Romano e persino i «Tristanian­i» e i «Cannibali» (il Brizzi di Jack Frusciante, Nove e Scarpa). Originale è, poi, l’idea di aver raccolti in un unico florilegio i molteplici «Vangeli apocrifi moderni» che hanno una sorta di vessillo nel Quinto evangelio di Pomilio.

Questa lunga e arida carrellata ambirebbe solo far sospettare la ricchezza, il fascino ma anche la necessità di dotarsi di un simile strumento policromo e polimorfo, destinato non solo alle bibliotech­e pubbliche – che dovrebbero acquisirlo come antidoto alla smemoratez­za e alla superficia­lità in cui si è ora immersi – ma anche a tutti coloro che amano la letteratur­a in tutte le sue iridescenz­e, e persino ai teologi così refrattari ad allegare la comprensio­ne estetica delle verità di fede. Alla base, infatti, del rimando alle Scritture non c’è solo una questione culturale ma anche esistenzia­le e spirituale, formulata ad esempio da un autore ottocentes­co minore, Alfredo Oriani, che non ho trovato nel Dizionario (a meno che non si nasconda in qualche piega delle voci comuni). Le sue parole cristologi­che, al riguardo, sono incisive: «Creduli o increduli, nessuno sa sottrarsi all’incanto di quella figura, nessun dolore ha rinunciato sinceramen­te al fascino della sua promessa».

 ??  ?? Eco a teatro«Il nome della rosa» di Umberto Eco nella versione teatrale di Stefano Massini (2015), con regia e adattament­o di Leo Muscato, allestita al Teatro Carignano di Torino il 22 maggio 2017. Foto di Alfredo Tabocchini
Eco a teatro«Il nome della rosa» di Umberto Eco nella versione teatrale di Stefano Massini (2015), con regia e adattament­o di Leo Muscato, allestita al Teatro Carignano di Torino il 22 maggio 2017. Foto di Alfredo Tabocchini

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