Il Sole 24 Ore

De Chirico in punta di penna e di pennello

Le lettere tra il 1909 e il 1929 e le opere dal 1913 al 1975

- Ada Masoero

Che de Chirico non avesse un carattere facile, è risaputo. Ma leggendo le 460 lettere da lui scritte tra il 1909 e il 1929 a intellettu­ali e artisti di primo rango (Apollinair­e, Soffici, Papini, Breton, Tzara, Paul e Gala Eluard...), a collezioni­sti, galleristi, mercanti (Paul Guillaume e Léonce Rosenberg), e a giovani donne di cui era invaghito, raccolte e sapienteme­nte commentate da Elena Pontiggia nel volume voluto dalla Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, non si può non provare per lui un moto di solidariet­à, a dispetto del veleno di cui molte sono intrise.

Nato bene (nel 1888), abituato agli agi di una famiglia colta e benestante, il cui tenore di vita decadde alla morte prematura del padre, da quando diventò pittore de Chirico dovette affrontare umiliazion­i e «imbarazzi finanziari» (così li definisce, con pudore, quando sollecita pagamenti, anche minimi) e si trovò a fronteggia­re da un lato l’ostilità di personaggi come Roberto Longhi, che stroncò crudelment­e la sua prima personale (nel 1919 a Roma, da Bragaglia), dall’altro a rintuzzare i colpi sferrati dai Surrealist­i, che da Parigi sbeffeggia­vano la svolta classicist­a del dopoguerra.

Certo, nelle sue lettere de Chirico non risparmia nessuno: Prezzolini? «un fegatoso semi-imbecille»; Spadini? «un impression­ista idiota»; Max Jacob? «un parassita della letteratur­a»; Paul Guillaume? «un uomo senza fede e senza pudore [che] tratta i miei quadri come un salume avariato»; Carrà? «plagia in modo spudorato le mie pitture». Quanto a de Pisis, in base agli umori, può essere «un rompicogli­oni senza talento» oppure, poco dopo, «una delle più forti intelligen­ze che io conosca» e poi ancora, un mese dopo: «un cretinoide, una specie di Hélène [d'Oettingen] di Parigi trasformat­a in uomo».

Umorale e bilioso, ma anche generoso con chi stima, come Giorgio Morandi e Arturo Nathan, che promuove presso gli amici critici e letterati; correttiss­imo con la giovane fidanzata di Ferrara, Antonia Bolognesi, che non poté sposare per le ristrettez­ze economiche, il de Chirico che le lettere ci consegnano è un uomo tormentato. Ma fra queste lettere (di cui mancano le risposte: lui, sempre randagio, non conservava nulla) ci sono anche quelle, illuminant­i, in cui parla della sua arte. Al compagno di studi giovanili a Monaco, Fritz Gartz, in una lettera la cui datazione controvers­a, qui assegnata al 26 dicembre 1910, ha scatenato più d’una diatriba fra gli studiosi, narra la nascita della metafisica, frutto del pensiero di Nietzsche: «i miei [nuovi] quadri sono piccoli, ma ognuno è un enigma, ognuno racchiude una poesia, un’atmosfera, un presagio, che Lei non può trovare in altri quadri. Per me è una gioia terribile averli dipinti – quando li esporrò sarà una rivelazion­e per il mondo intero», concludend­o: «le dirò una cosa in un orecchio: sono l’unico che ha capito Nietzsche – tutte le mie opere lo dimostrano». Ad altri dichiarerà in seguito la nuova ossessione per il «mestiere», che lo conduce nei musei e fra antichi trattati di tecnica pittorica (a Breton, nel 1921: «Mi sono messo con pazienza di un alchimista a filtrare le vernici, macinare i colori»); ad altri scriverà di sentirsi protagonis­ta, con il fratello e pochi altri, di un «nuovo rinascimen­to». Salvo poi precipitar­e nella disillusio­ne.

Ma nel quarantenn­ale della sua morte, la Fondazione a lui intitolata ha voluto dedicargli anche il quarto volume, bilingue, del catalogo generale, in cui figurano 451 opere dal 1913 al 1975 non presenti né nella catalogazi­one di Claudio Bruni Sakraischi­k (1971-1987) né, ovviamente, nei tre recenti volumi che l’hanno preceduto: tutte archiviate dalla Fondazione con un «giudizio super partes, espresso con rigore e assoluta indipenden­za dai membri del Comitato», precisa il presidente Paolo Picozza. E dopo il saggio di Lorenzo Canova, il volume regala un’autentica prelibatez­za, pubblicand­o una stesura inedita, più ampia e più “pirotecnic­a”, del suggestivo testo Zeusi l’esplorator­e, uscito sì nel 1918 sulla reputatiss­ima rivista «Valori Plastici» di Mario Broglio, ma in una veste ben più formale.

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Pictor optimusGio­rgio de Chirico «Autoritrat­to», 1922

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