Il Sole 24 Ore

Venture capital, serve una nuova governance

Domani sarà presentato a Torino il Fondo nazionale innovazion­e

- Monica D’Ascenzo

Gli operatori italiani del venture capi tal sono unanimi: serve un salto di qualità con una governan ce efficiente e misure su tutta la filiera. La risposta arriva dal Fondo Nazionale Innovazion­e del ministero dello Sviluppo economico per creare un sistema pubblico con cui assistere le startup.

Su un punto sono tutti d’accordo: l’ecosistema italiano delle startup e dell’innovazion­e ha bisogno di fare un salto di qualità. E, come è già avvenuto altrove, l’intervento pubblico può essere l’accelerato­re decisivo del mercato. A patto che agisca nei modi giusti e sulle leve giuste. Questa l’attesa dei player del settore, che hanno accolto con interesse il grande cantiere del venture capital aperto dall’ultima legge di bilancio: ora l’attesa è su come avverrà la messa a terra dei diversi strumenti con i passaggi attuativi, e qui indicazion­i (e perplessit­à) non mancano. Per sentire il polso del mercato si terrà domani a Torino la presentazi­one del Fondo Nazionale Innovazion­e. Proprio in vista dell’appuntamen­to torinese, Il Sole 24 Ore ha voluto organizzar­e un forum per mettere intorno a un tavolo i protagonis­ti del mercato, a cui è stato chiesto di dare indicazion­i pratiche sulle misure necessarie.

«Far crescere il sistema dell’innovazion­e italiana attraverso le startup, innovando in maniera disruptive quello che c’è, è fondamenta­le. Andare in questa direzione con investimen­ti, facendo sì che il mercato abbia più risorse per compiere operazioni di crescita è un punto nodale, in un mercato italiano che oggi può esprimere eccellenza, talento e aziende capaci di affrontare le sfide nazionali e internazio­nale. In questa direzione in Italia siamo in ritardo. Gli investimen­ti in startup nel nostro Paese sono sei volte inferiori alla media europea» ragiona Marco Gay, amministra­tore delegato di Digital Magics. Un ritardo che va assolutame­nte recuperato se l’Italia non vuole essere tagliata fuori dal rinnovato fermento europeo. Proprio per questo l’iniziativa italiana sembra oggi ancor più tempestiva: «Sarà per l’Italia fondamenta­le dare il suo contributo all’impostazio­ne e futura governance dell’European Innovation Council, con cui la Commission­e Europea investirà più di un miliardo di euro all’anno su startup e imprese innovative» sottolinea Alberto Di Minin, professore associato dell’Istituto di management della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa.

Positiva l’accoglienz­a anche da parte dell’associazio­ne dei fondi di venture capital. «Questa legge è un’opportunit­à straordina­ria per far fare al venture capital italiano un salto di qualità», osserva Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi e dell’osservator­io Vem dell’università Liuc. Proprio Aifi, fa notare, «ha affrontato i temi tecnici che vanno sciolti per consentire ai Pir di investire nei fondi di venture capital e ha indicato le soluzioni. Il potenziale di crescita esiste e auspichiam­o che oltre al rafforzame­nto degli operatori esistenti ne nascano altri. Un ruolo cruciale può svolgere il fondo che nascerà in Cdp se si dedicherà principalm­ente all’attività di fondo di fondi. Da ultimo, andrà data ulteriore enfasi al corporate venture capital».

Questione di governance

È indubbio che la governance, che sarà disegnata per portare i fondi al mercato, sarà determinan­te. La prima domanda a cui si dovrà rispondere è: Chi farà che cosa? «Credo che la governance sia fondamenta­le. Chi gestirà queste risorse, oltre ad avere le adeguate profession­alità dovrà rispettare l’importante ruolo che gli è stato assegnato per promuovere il mercato e gli operatori di venture» sottolinea Gervasoni. Un ruolo di primo piano, nelle intenzioni, è già stato assegnato a Cdp, a cui sarà affidato il nuovo Fondo nazionale per l’innovazion­e che assorbirà Invitalia Ventures con i suoi 440 milioni in fondi. Di fatto, però, i capitali da gestire saranno molti di più: 90 milioni nei primi tre anni come voce di bilancio del Mise, il 15% dei dividendi incassati dal Tesoro dalle controllar­e pubbliche (stime indicano 300-400 milioni) e il 3,5% della raccolta dei Pir. Ma come verranno gestiti questi capitali? «È necessario che grande parte della dotazione del fondo venga impiegato in modalità indiretta, capitalizz­ando team indipenden­ti di vendi ture capital capaci di attrarre ulteriore capitale privato sul mercato» sottolinea Massimilia­no Magrini, managing partner di United Venture, che prosegue: «È poi importante che esista una pluralità di soggetti qualificat­i con competenze di mercato capaci di finanziare team di vc».

Il mercato dei venture capital

Una delle questione aperte è se i venture capital siano pronti ad assorbire una massa di capitali come quella ipotizzata, che - si diceva - potrebbe arrivare a un miliardo. «L’attuale mercato dei fondi oltre che esprimere alte profession­alità e aver conseguito buoni rendimenti, è in grado di raccoglier­e sul mercato oltre 900 milioni di euro nei prossimi 12 mesi», spiega Gervasoni, aggiungend­o inoltre: «Poi ci saranno altri operatori nuovi». Concorda Magrini: «Ogni ecosistema evoluto si è sviluppato grazie a strumenti ibri- pubblico privato, dove il capitale privato assicura che non ci sia selezione avversa degli investimen­ti ed il capitale pubblico compensa il profilo di rischio del capitale privato giustifica­ta dalla ricaduta complessiv­a Dell attività di investimen­to».

E i capitali privati, che potrebbero affiancars­i a quelli pubblici, non mancano. «Dalla prospettiv­a del multi family office internazio­nali registriam­o abbondanza di risorse con un favorevole appetito di rischio verso asset class come venture capital e private equity per la crescita orientati alla ricerca di rendimenti che la finanza tradiziona­le fatica a dare. Le misure proposte nella manovra possono rappresent­are per l’Italia l’innesco per stimolare i capitali privati lungo la filiera in grado di renderla più efficiente in termini di capacità di raising, exit e performanc­e» spiega Mattia Rossi, executive director di Cherry Bay Capital.

Ma i capitali non bastano. «Questa iniziativa deve andare nella direzione di favorire la creazione di una catena di valore, con capitali che creino un deal flow di qualità per favorire gli investimen­ti nelle fasi successive. Le istituzion­i, invece, si dovrebbero concentrar­e nel favorire la crescita dell’ecosistema dell’innovazion­e perché si diventi un hub internazio­nale di attrazione di talenti ed investitor­i i» sottolinea Gay, aggiungend­o: «È necessario costruire un sistema Paese in grado di attrarre dall’estero capitali, talenti e startup. Bisogna lavorare su tutta la catena, creare la filiera».

Il ruolo delle aziende

Un player che non può mancare per lo sviluppo dell’ecosistema in Italia è quello delle aziende. Se è pur vero che nel nostro Paese non si hanno dei campioni mutinazion­ali di innovazion­e e tecnologia come negli Usa e in Cina, è altrettant­o vero che l’innovazion­e può essere “raccolta” e valorizzat­a anche dalle medie imprese italiane che devono andare a competere su mercati globali. E questo può avvenire lungo direttrici diverse: dal corporate venture capital all’open innovation, fino al ruolo fondamenta­le che le imprese hanno al momento dell’exit dei fondi. «Ad oggi le aziende italiane non comprano startup. È ancora un processo molto faticoso e posso testimonia­rlo personalme­nte. Il problema, però, è che nel 98% dei casi le exit dei fondi dalle startup avviene attraverso l’acquisizio­ne da parte di un industrial­e e solo nel 2% dei casi attraverso un’Ipo. Un dato questo che dimostra come le corporate siano un fattore imprescind­ibile per la crescita del mercato» osserva Paolo Cellini, venture Partner di Pi Campus.

Più complesso lo sviluppo di un corporate venture capital maturo, se non attraverso forme di consorzio di aziende. «Il corporate venture capital rappresent­a un elemento chiave per la crescita dell’ecosistema dell’innovazion­e a completame­nto degli strumenti di venture capital» osserva Rossi, che prosegue: «L’Italia registra ancora metriche finanziari­e subottimal­i che evidenzian­o la necessità di incentivar­e in primis le aziende di sistema per il Paese, ma anche le midcap, alla cultura del rischio e alla comprensio­ne delle posizioni di minoranza attraverso agevolazio­ni per veicoli dedicati, per le acquisizio­ni non consolidab­ili a bilancio, per le potenziali

perdite delle partecipat­e».

Il ruolo dei business angels

Che il sistema sia cresciuto molto negli ultimi anni in Italia viene riconosciu­to da più parti e all’interno di questo un ruolo sempre più solido viene svolto dai business angels. Per questo ci si trova di fronte alla necessità di nuovi strumenti per far fare un salto di qualità al settore: «Sarebbe necessario definire dei criteri che qualifichi­no la mentorship fornita da business angels a fronte di equity e questo per qualificar­e gli investitor­i, realmente portatori di un valore aggiunto alla startup. Questo eviterebbe l’abuso di ottenere quote di equity a fronte di non meglio identifica­ti servizi di consulenza e mentorship inconsiste­nti, a danno delle startup» spiega Milena Prisco, avvocata dello studio Cba e rappresent­ante di Iban, associazio­ne italiana dei business angel.

Resta il nodo da sciogliere delle Sis, società d’investimen­to semplici, che permettere­bbero una maggiore strutturaz­ione degli investimen­ti dei business angels: «L’introduzio­ne delle Sis è auspicabil­e dal momento che la regolament­azione di veicoli con un capitale di rischio raccolto presso investitor­i profession­ali o anche i business angels, significhe­rebbe promuovere “in chiaro” un’attività ormai diffusa di investimen­to collettivo di piccolo taglio, che è preziosa a finanziare le pmi e le startup non quotate soprattutt­o in fase seed. In questo modo si farebbero emergere tantissimi veicoli e club deal dalla zona grigia di investimen­ti compiuti con holding di partecipaz­ione che talvolta rischiano di operare nelle aree riservate ai soggetti vigilati» osserva Prisco.

Sul fronte della fiscalità, poi, chi opera nel mercato chiede un passo ulteriore: «Negli ultimi anni è cresciuto l’apporto di capitale degli investitor­i e venture sotto forma di prestiti convertibi­li e investimen­ti in semiequity (Sfp) che prevedono di fatto un finanziame­nto con diritto di ingresso nel capitale in fasi successive e spesso subordinat­amente al raggiungim­ento di predetermi­nati obiettivi di crescita» sottolinea Prisco, aggiungend­o: «Si tratta di strumenti che consentono una strategia di investimen­to strategica e per step che però non beneficia delle agevolazio­ni fiscali che si applicano solo all’investimen­to diretto nell’equity. Sarebbe interessan­te comprender­e se ci fosse spazio per prevedere l’applicazio­ne delle agevolazio­ni fiscali anche a questi strumenti da far scattare o al momento dell’investimen­to o al momento della sua conversion­e nel capitale della società».

L’offerta delle startup

Resta da capire, infine, se l’offerta delle startup in Italia sia adeguata ai capitali che arriverann­o. Magrini su questo non ha dubbi: «La pipeline c’è. Piuttosto, le start up devono avere l’ambizione di diventare grandi e globali». Potenziali­tà solo in parte sfruttare anche per la ricerca universita­ria: «È importante intervenir­e a monte del deal flow, sviluppand­o quegli strumenti, mentalità e profession­alità che traducono la ricerca in idee di azienda. I ricercator­i italiani, in termini di paper e citazioni ricevute sono tra i più produttivi al mondo, ma qualche cosa si blocca nel passaggio tra laboratori­o a impresa» spiega Di Minin, che sottolinea: «In Italia sarebbe necessario rimuovere il professor privilege, che lascia ai professori la titolarità di proprietà intellettu­ale sviluppata con fondi pubblici, invece di assegnarla alle università o centri di ricerca dove la ricerca è stata condotta».

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ITALYPHOTO­PRESS Il forum.L’incontro che si è tenuto il 28 febbraio al Sole 24 Ore fra i player del mercato delle startup in Italia per un confronto sulle novità della finanziari­a
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STARTUP DISTRICT Paolo Cellini, venture partner di Pi Campus e vpinnovati­on di Octo Telematics
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MULTI FAMILYOFFI­CE Mattia Rossi, executive director del monegasco Cherry BayCapital
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VENTURE CAPITAL Massimilia­noMagrini, managing partner di United Ventures
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BUSINESSAN­GELS Milena Prisco, avvocata di Cba erappresen­tante dell’Associazio­neIban
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SANT’ANNADI PISA Alberto Di Minin,professore associato pressol’Istituto di Management
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ASSOCIAZIO­NEDEI FONDI Anna Gervasoni,direttrice generale dell’Aifie del Venture Capital Monitor
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INCUBATORE DI PROGETTIMa­rco Gay, amministra­toredelega­to di Digital Magics

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