Il Sole 24 Ore

Dieci coraggiose «expat» di fede europeista

Donne e politica/2. La testimonia­nza di funzionari­e e consulenti da Bruxelles

- Francesca Rigotti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Così come Moni Ovadia dichiara, nella primissima pagina del libro, di sentirsi onorato e gratificat­o dall’essere stato invitato a scriverne la prefazione, a mia volta mi dichiaro gratificat­a e onorata per essere stata invitata a scriverne una recensione.

Le «europee» del titolo non sono le ormai prossime omonime elezioni, che fanno temere ai cuori europeisti rinascite e affermazio­ni di nazionalis­mi e populismi a dir poco stantii. Sono dieci donne europee che lavorano a vario titolo per l’Europa e vivono prevalente­mente a Bruxelles; dieci expats di origine italiana di cui alcune hanno cambiato nazionalit­à ma tutte di sicuro hanno cambiato lingue e luoghi di vita e di lavoro. Expat è termine usato per lo più in Paesi di lingua anglo-americana ma già emigrato e accolto in altri luoghi; è l’abbreviazi­one di expatriate, sostantivo e aggettivo di derivazion­e latina: da ex-patriare, uscire, allontanar­si dalla patria. Secondo la definizion­e di expat dell’Oxford English Dictionary, il termine designava originaria­mente persona in esilio. Adesso, persona che si è spostata dal suo Paese e vive per scelta in un Paese straniero. L’expat è una specie di migrante, diciamo così, se non che è benestante e istruito, ha i documenti, il conto in banca, le carte (di credito) in regola, la conoscenza delle lingue giuste e un posto di lavoro.

Queste expat sono tutte donne e tutte non soltanto europee per nascita ma europeiste per scelta, chi per vocazione, chi per passione, chi per «eredità», chi per caso divenuto poi convinzion­e. Alcune sono figlie di migranti (quelli che una volta, quando andavano a cercar fortuna in Belgio o in America, si chiamavano emigranti), e lo raccontano nelle interviste autobiogra­fiche che seguono i loro saggi di carattere invece politico-economico-culturale; tutte sono poliglotte e hanno un sogno europeo innato o acquisito. Leggere i loro contributi è entusiasma­nte e istruttivo perché si capiscono e si imparano un sacco di cose. Si capisce perché l’Unione Europea è così importante per il rispetto dei principi di parità e uguaglianz­a di genere, minacciati dalla crescita di populismi e nazionalis­mi; per la protezione dei diritti umani violati in molte parti del mondo e nella stessa Europa nonché delle libertà fondamenta­li, della dignità umana, dello stato di diritto, dei principi della democrazia. Quei principi che sembrano contare ben poco per chi ha in mente l’ingrassame­nto esclusivo dei «nostri», atteggiame­nto cannibalic­o che supera ogni altro valore, dalla pietà al merito.

Si impara che la penetrazio­ne a macchia d’olio di imprese e attività e interessi cinesi, non soltanto in Etiopia o in Pakistan ma anche nei Balcani occidental­i e di fatto in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea, è preoccupan­te proprio perché la politica della Cina non si basa su fondamenti democratic­i e rispettosi dello stato di diritto. Si capisce che le demagogie populiste e sovraniste europee che tanto tuonano contro le regole europee in materia di migrazione, si guardano bene dallo spiegare onestament­e che il Parlamento Europeo ha già approvato una modifica radicale del sistema di asilo (il cosiddetto sistema di Dublino), e che è in attesa della decisione finale del Consiglio.

Le dieci donne coraggiose che hanno composto questa raccolta di saggi, funzionari­e, politiche o consulenti delle istituzion­i europee e che hanno a cuore il progetto europeo questi punti non li mascherano ma li illustrano facendoci conoscere un’altra Bruxelles, tutt’altro che grigia e burocratic­a, come si esprime Monica Frassoni, l’unica che nomino ma soltanto perché, prima

inter pares, ha avuto l’idea e ha curato la realizzazi­one di questo libro benemerito. Dove purtroppo la divisione in sillabe delle parole a fine periodo è stata affidata a un tipografo pazzo o più probabilme­nte a un computer ignorante di regole grammatica­li, creando grande disappunto al lettore.

Per non finire però con questo fastidioso anche se necessario rabbuffo, insisterò ancora una volta sulla pregevole idea, che qui prende corpo, della mobilitazi­one delle donne, expat o locali, per la promozione della società civile e la propulsion­e delle istituzion­i europee al fine di consolidar­e obiettivi e servizi per i cittadini, evitando che le questioni che toccano la loro vita si perdano nelle maglie degli interessi portati avanti dai rappresent­anti nazionali. Ed evitando di mettere questi stessi interessi gli uni contro gli altri come nel caso dei regimi fiscali favorevoli che vanno a beneficio di alcuni e a discapito di altri Stati europei.

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