Italia fanalino di coda tra le grandi economie europee
In vista della riunione mondiale che si tiene a Davos ogni anno, a gennaio, il World Economic Forum prepara delle analisi in settori chiave per la crescita economica e sociale delle 147 nazioni che partecipano. Quelli relativi al 2018, disponibili sul sito https:// www.weforum.org/reports, sono una dozzina e coprono argomenti che vanno dalla competitività, all’innovazione, alla valutazione globale dei rischi, all’elettronica al futuro digitale. Il Wef dedica attenzione anche alla parità di genere che considera un ambito strategico per la crescita delle nazioni. Nessuno dubita che, per arrivare a realizzare entro il 2030 gli obiettivi delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, occorra il contributo di tutti, uomini e donne.
I parametri utilizzati per quantificare la vicinanza (o la lontananza) dalla parità tra uomini e donne sono organizzati su 4 campi che comprendono: partecipazione al mondo del lavoro (tenendo conto del livello salariale e presenza nelle posizioni apicali), accesso ai vari gradi di istruzione, accesso ai servizi sanitari e qualità della vita, presenza nel mondo della politica e nei ranghi dei governi.
Combinando i parametri in modo opportuno, ad ogni campo viene dato un voto complessivo, che va da 0 (nessuna parità) a 1 (parità perfetta).
Per arrivare alla classifica del livello di parità raggiunto nelle varie nazioni, i quattro voti vengono mediati per ottenere il voto totale della nazione ed assegnarle il posto nella classifica (http:// reports.weforum.org/global-gendergap-report-2018/data-explorer/)
Le nazioni più vicine alla parità sono Islanda, Norvegia, Svezia e Finlandia con un voto finale superiore a 0,82 mentre quelle più lontane (Libano, Arabia Saudita, Iran, Mali, Congo, Chad, Siria, Iraq, Pakistan e Yemen) hanno voto minore di 0,6, lo Yemen è l’ultimo con 0,499.
Andando a curiosare tra le schede delle varie nazioni (basta cliccare sul nome della nazione), ci si rende conto che, nell’asse della salute e in quello dell’educazione la situazione è quasi sempre decisamente buona. Pensiamo che nella maggioranza dei 147 Stati all’università la presenza femminile supera quella maschile. I campi in cui la parità è lontana sono quelli collegati all’economia e alla politica e si materializza in minore occupazione femminile, stipendi più bassi, meno opportunità di occupare posizioni che contano, minor presenza femminile nei parlamenti e nei governi. Non sono molti i Paesi che hanno un ugual numero di uomini e di donne in parlamento o che hanno egualmente divisi i ministeri o che hanno avuto una donna a capo del governo.
In effetti, secondo il Word Economic Forum, il gap tra uomini e donne si gioca tutto nel mondo del lavoro e in quello della politica.
L’Italia non va benissimo, nella classifica 2018 è al 70esimo posto, con un voto globale che è di poco sopra la media delle 147 nazioni. È l’ultima delle grandi economie europee, facciamo giusto meglio della Grecia che è 78esima. La Francia è 12esima, la Germania 14esima, la Svizzera 20esima, la Spagna 29esima. Quello che ci penalizza è la presenza relativamente bassa delle donne nel mondo del lavoro, specialmente in posizioni apicali. Questo si riflette in una grande differenza nel salario medio, che contribuisce ad abbassare il giudizio.
È la posizione che ci meritiamo? Diciamo che è meglio di quella dell’anno scorso, quando eravamo finiti 82esimi ma è molto peggio di quella del 2015 quando eravamo quarantunesimi (che già mi era sembrata bassina). Cosa ci ha fatto retrocedere in modo così marcato in pochi anni? Cosa possiamo fare per migliorare?
Colmare il divario salariale sarebbe un primo passo, per esempio adottando la geniale soluzione della Finlandia dove, dal 1° gennaio 2018, nelle aziende con più di 25 impiegati, è diventato illegale pagare in modo diverso i lavoratori e le lavoratrici. Mentre ci possiamo augurare che la soluzione finlandese faccia scuola, sappiamo che mentalità liberista tenderebbe a non intervenire. Peccato che le proiezioni delle Nazioni Unite dicono che ci vorrà oltre un secolo (forse due) per raggiungere la parità salariale. Per di più, non c’è nessuna garanzia che la situazione migliori con il passare del tempo. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un peggioramento, con una decisa crescita della differenza salariale a livello mondiale. Uomini e donne hanno visto aumentare la loro retribuzione ma quella dei maschietti è cresciuta a un ritmo più sostenuto. Urge un’azione correttiva.