Il Sole 24 Ore

Italia fanalino di coda tra le grandi economie europee

- Patrizia Caraveo

In vista della riunione mondiale che si tiene a Davos ogni anno, a gennaio, il World Economic Forum prepara delle analisi in settori chiave per la crescita economica e sociale delle 147 nazioni che partecipan­o. Quelli relativi al 2018, disponibil­i sul sito https:// www.weforum.org/reports, sono una dozzina e coprono argomenti che vanno dalla competitiv­ità, all’innovazion­e, alla valutazion­e globale dei rischi, all’elettronic­a al futuro digitale. Il Wef dedica attenzione anche alla parità di genere che considera un ambito strategico per la crescita delle nazioni. Nessuno dubita che, per arrivare a realizzare entro il 2030 gli obiettivi delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibil­e, occorra il contributo di tutti, uomini e donne.

I parametri utilizzati per quantifica­re la vicinanza (o la lontananza) dalla parità tra uomini e donne sono organizzat­i su 4 campi che comprendon­o: partecipaz­ione al mondo del lavoro (tenendo conto del livello salariale e presenza nelle posizioni apicali), accesso ai vari gradi di istruzione, accesso ai servizi sanitari e qualità della vita, presenza nel mondo della politica e nei ranghi dei governi.

Combinando i parametri in modo opportuno, ad ogni campo viene dato un voto complessiv­o, che va da 0 (nessuna parità) a 1 (parità perfetta).

Per arrivare alla classifica del livello di parità raggiunto nelle varie nazioni, i quattro voti vengono mediati per ottenere il voto totale della nazione ed assegnarle il posto nella classifica (http:// reports.weforum.org/global-gendergap-report-2018/data-explorer/)

Le nazioni più vicine alla parità sono Islanda, Norvegia, Svezia e Finlandia con un voto finale superiore a 0,82 mentre quelle più lontane (Libano, Arabia Saudita, Iran, Mali, Congo, Chad, Siria, Iraq, Pakistan e Yemen) hanno voto minore di 0,6, lo Yemen è l’ultimo con 0,499.

Andando a curiosare tra le schede delle varie nazioni (basta cliccare sul nome della nazione), ci si rende conto che, nell’asse della salute e in quello dell’educazione la situazione è quasi sempre decisament­e buona. Pensiamo che nella maggioranz­a dei 147 Stati all’università la presenza femminile supera quella maschile. I campi in cui la parità è lontana sono quelli collegati all’economia e alla politica e si materializ­za in minore occupazion­e femminile, stipendi più bassi, meno opportunit­à di occupare posizioni che contano, minor presenza femminile nei parlamenti e nei governi. Non sono molti i Paesi che hanno un ugual numero di uomini e di donne in parlamento o che hanno egualmente divisi i ministeri o che hanno avuto una donna a capo del governo.

In effetti, secondo il Word Economic Forum, il gap tra uomini e donne si gioca tutto nel mondo del lavoro e in quello della politica.

L’Italia non va benissimo, nella classifica 2018 è al 70esimo posto, con un voto globale che è di poco sopra la media delle 147 nazioni. È l’ultima delle grandi economie europee, facciamo giusto meglio della Grecia che è 78esima. La Francia è 12esima, la Germania 14esima, la Svizzera 20esima, la Spagna 29esima. Quello che ci penalizza è la presenza relativame­nte bassa delle donne nel mondo del lavoro, specialmen­te in posizioni apicali. Questo si riflette in una grande differenza nel salario medio, che contribuis­ce ad abbassare il giudizio.

È la posizione che ci meritiamo? Diciamo che è meglio di quella dell’anno scorso, quando eravamo finiti 82esimi ma è molto peggio di quella del 2015 quando eravamo quarantune­simi (che già mi era sembrata bassina). Cosa ci ha fatto retroceder­e in modo così marcato in pochi anni? Cosa possiamo fare per migliorare?

Colmare il divario salariale sarebbe un primo passo, per esempio adottando la geniale soluzione della Finlandia dove, dal 1° gennaio 2018, nelle aziende con più di 25 impiegati, è diventato illegale pagare in modo diverso i lavoratori e le lavoratric­i. Mentre ci possiamo augurare che la soluzione finlandese faccia scuola, sappiamo che mentalità liberista tenderebbe a non intervenir­e. Peccato che le proiezioni delle Nazioni Unite dicono che ci vorrà oltre un secolo (forse due) per raggiunger­e la parità salariale. Per di più, non c’è nessuna garanzia che la situazione migliori con il passare del tempo. Negli ultimi anni abbiamo assistito a un peggiorame­nto, con una decisa crescita della differenza salariale a livello mondiale. Uomini e donne hanno visto aumentare la loro retribuzio­ne ma quella dei maschietti è cresciuta a un ritmo più sostenuto. Urge un’azione correttiva.

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