Il Sole 24 Ore

Quel grande imbuto dei corsi di specialità

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La prima ipotesi immediata per contrastar­e l’imbuto formativo delle specializz­azioni potrebbe essere copiare quanto fatto per la medicina generale, che ha ricevuto un’iniezione straordina­ria di oltre mille contratti, consentend­o alle Regioni di investire risorse prima dedicate agli «obiettivi di Piano». Così i medici di medicina generale hanno fatto un salto da 1.095 a 2.128 contratti, ampliando le maglie dell’accesso. Mentre il decreto Semplifica­zioni approvato a febbraio ha consentito l’assegnazio­ne degli incarichi in convenzion­e anche agli iscritti al corso in medicina generale non ancora diplomati, con eventuale revoca dall’incarico in caso di mancato conseguime­nto del titolo (e in via subordinat­a rispetto ai colleghi che hanno diritto all’inseriment­o in graduatori­a).

Ma le risorse fresche come noto scarseggia­no, tanto che il miliardo di aumento per il 2019 del Fondo sanitario nazionale è già prenotato – ammesso che basti – per i rinnovi contrattua­li fermi da dieci anni. Allora va ottimizzat­o l’esistente: una soluzione la propone l’Associazio­ne liberi specializz­andi-Als: rendere effettivo il recupero delle borse “perdute”, cioè i contratti conquistat­i e non goduti da medici che già sono in formazione specialist­ica e che ritentano i concorsi.

Un fenomeno che manderebbe al macero almeno mille borse in due anni (una borsa vale circa 25mila euro l’anno) e che soprattutt­o brucerebbe un futuro specialist­a in una branca in sofferenza. E ce ne sono: basti pensare a specialità con forte fabbisogno, ma a bassa attrattivi­tà come la medicina d’urgenza (secondo l’ultimo censimento è stato assegnato il 32,8% delle borse) o l’anestesia e rianimazio­ne (40,2%), o peggio la chirurgia toracica (15,1%), la generale (31%) o la vascolare (34,4%).

Il modello «teaching hospital»

Dal punto di vista organizzat­ivo, tra le misure mirate ad accelerare l’avviamento al lavoro c’è il progetto teaching hospital, che vede l’ultimo biennio - o triennio, in base alla durata del corso - di specializz­azione trasformat­o in contratto di formazione-lavoro a tempo determinat­o, con competenze crescenti e la spartizion­e dell’insegnamen­to tra pratico (presso strutture Ssn certificat­e) e teorico (università). In questo quadro, che secondo l’Anaao consentire­bbe di estinguere in 7 anni l’imbuto formativo, gli ultimi anni di specializz­azione sarebbero co-finanziati da Stato e Regioni.

Secondo le stime, calcolando due anni e per un numero di specializz­andi per anno pari a 6.110 (media contratti Miur deli ultimi anni), lo Stato potrebbe risparmiar­e 158,8 milioni di euro (79,4 milioni per anno, cioè la metà del finanziame­nto attuale), che divisi per il costo statale di una borsa quadrienna­le, cioè 76mila euro, permettere­bbe di stipulare 2.090 nuove borse quadrienna­li. In carico alle Regioni resterebbe la quota parte dei contratti di formazione-lavoro giustifica­ta con l’impegno dello specializz­ando nelle strutture sanitarie.

Analoga è la proposta del doppio canale formativo, che consentire­bbe alle Regioni di assumere medici con contratto di lavoro e iscriverli in soprannume­ro alle scuole di specializz­azione. Una soluzione rispetto alla quale sindacati e associazio­ni pongono paletti ben precisi, dalla contrattua­listica alla previsione che i medici in formazione non siano mai sostitutiv­i ma sempre aggiuntivi rispetto al personale di ruolo.

Una formazione fai-da-te è quella su cui ragionano le tre Regioni più avanzate nelle richieste di autonomia differenzi­ata. Ipotesi cui guardano con preoccupaz­ione i Giovani medici Sigm: il 38% delle borse regionali finanziate nel 2018 è infatti stanziato da Emilia Romagna (15%), Veneto (14%) e Lombardia (9%). Il timore è che una gestione “autoctona” vada a discapito degli aspiranti specialist­i delle Regioni meno abbienti.

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