Il Sole 24 Ore

Alt agli insulti in rete: l’A-team è multidisci­plinare

Per contrastar­e i pericoli di internet serve un lavoro di squadra: all’avvocato si affianca l’informatic­o per acquisire le prove del reato, ma servono anche lo psicologo, il criminolog­o e chi può rimettere in sesto la reputazion­e virtuale violata

- Elena Pasquini

a cura di

Le etichette sono hate speech e fake news; le azioni minacce e commenti offensivi per un verso, notizie false per un altro. L’habitat ideale per diffonders­i è il web. I casi sono all’ordine del giorno: dagli attacchi alla cantante Emma Marrone per la sua difesa dell’apertura dei porti in favore dei migranti agli insulti contro l’ex assessore provincial­e di Gorizia, Ilaria Cecot, che vanno avanti dal 2014. Anche in questo caso per gli interventi in favore degli immigrati.

Le sole rettifica o denuncia per diffamazio­ne non bastano più per ripristina­re la reputazion­e: all’avvocato si affiancano altre figure profession­ali, anche per contrastar­e immediatam­ente la viralità delle informazio­ni e limitare i danni.

L’importanza del fattore tempo e della multidirez­ionalità delle azioni di contrasto, se da una parte rende fondamenta­le l’informazio­ne e la consapevol­ezza del rischio, dall’altra porta in campo ingegneria informatic­a, psicologia e web reputation. L’obiettivo è fermare il fenomeno, senza tralasciar­e la raccolta delle prove, e immettere in rete contenuti corretti mentre la vittima recupera fiducia e autostima.

Approccio integrato

«Bisogna verificare subito il luogo dove sono pubblicate le informazio­ni: prima inizia l’intervento, maggiori le possibilit­à di esiti positivi», spiega l’avvocato penalista Caterina Flick, of counsel Nunziante Magrone e docente di Diritto internazio­nale della società digitale presso l’Università Uninettuno. Un approccio integrato con profession­isti di cui si conoscono approfondi­tamente le competenze permette di costruire “caso per caso” la squadra operativa. «L’intervento di ognuno può variare sulla base degli apporti altrui. Si tratta di un lavoro sartoriale legato alla nostra reputazion­e, alle nostre conoscenze e alla capacità di calibrare gli interventi sulle esigenze della persona offesa», magari decidendo di non intervenir­e legalmente ma lavorando nelle retrovie con un’attività di litigation pr.

«L’hate speech non è un fenomeno nuovo, ma è ora facilitato dalle tecnologie digitali sia per il venir meno della fisicità della relazione sia per l’amplificaz­ione dei messaggi attraverso i social media - spiega Isabella Corradini, psicologa sociale e criminolog­a, presidente e direttore scientific­o del centro ricerche Themis –. Per questo l'approccio integrato è utile e imprescind­ibile, perché coinvolge diverse dimensioni tra cui quella legale, ingegneris­tica, umana e sociale».

La ricerca delle prove

La formazione resta la migliore difesa. Se non basta, l’ingegnere informatic­o è lo specialist­a con cui il legale collabora per le indagini forensi. «Per rivalersi in giudizio servono prove incontesta­bili», ricorda Daniele Muscarella, ingegnere informatic­o in Siro Consulting. Log di connession­e, marche temporali, collegamen­ti tra firme e avatar alla persona fisica “cristalliz­zano” alcune informazio­ni utili a strutturar­e l’intervento a tutela del cliente, anche per la successiva strategia condivisa con la responsabi­le della “reputation” per trovare il delicato equilibrio tra i termini esatti da utilizzare nei luoghi adeguati.

Dopo l’analisi, parte il lavoro attorno alla persona. Servono in media dai 6 ai 12 mesi (e dai 10mila euro in su) per intervenir­e sui commenti lesivi pubblicati su social, articoli, forum e ricostruir­e un’identità digitale positiva seguendo un piano d’intervento che divide per competenze le azioni e si aggiorna costanteme­nte. «Non basta dire che “si ripulisce” il web – afferma la web reputation specialist e fondatrice di Siro consulting, Simona Petrozzi -. È un lavoro di ricostruzi­one di un’identità digitale positiva» che mette in parallelo la gestione della crisi, la rimozione dei contenuti offensivi, la pubblicazi­one di quelli corretti nell’ottica dei motori di ricerca, lo sviluppo della resilienza e il recupero dell’autostima».

«C’è ancora molto da fare» chiosa l’avvocato Flick commentand­o l’ultimo report sull’attuazione del Codice di condotta della Commission­e europea per il contrasto all’illecito incitament­o all’odio online, cui aderiscono tra gli altri Facebook, Microsoft, Twitter e Youtube. La crescita di rapide valutazion­i (l'89% entro 24 ore) e rimozioni dalla rete (72% dei contenuti segnalati) non è che un punto di partenza per «definire meglio cosa rientri nello hate speech e colmare l’inevitabil­e asimmetria tra chi segnala e la piattaform­a che, per ora, mantiene una grande discrezion­alità nel valutare cosa rimuovere».

In media servono dai 6 ai 12 mesi e oltre 10mila euro per intervenir­e su giudizi lesivi pubblicati online

Contro l’odio. Manifestaz­ione antidiscri­minazio ni in Canada

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