Il Sole 24 Ore

Pronto maxi accordo Usa-Cina sui dazi

Licia Mattioli (Confindust­ria): «Dalle intese internazio­nali benefici per il made in Italy»

- Marco Valsania

Entro fine mese l’accordo commercial­e tra Stati Uniti e Cina, l’intesa che dovrebbe superare la guerra economica tra Washington e Pechino, potrebbe essere pronta per essere firmata. Un summit tra Donald Trump e il leader cinese Xi Jinping ha già una data: il 27 marzo a Mar-aLago, residenza di Trump in Florida, dove Xi volerebbe reduce da un viaggio in Italia e Francia. Indicazion­i si susseguono, oltre che sulla forma, sulla sostanza del deal: il governo di Xi dovrebbe abbassare dazi recenti e alcune storiche barriere non tariffarie in settori dalla chimica all’agricoltur­a, dall’energia all’auto.

In cambio la Casa Bianca si impegnerà a eliminare tutte - o quasi - le ritorsioni dell’ultimo anno su 200 miliardi di import dal Paese asiatico. Pechino, nell’insieme, aprirebbe nei prossimi cinque anni le frontiere ad altri 1.350 miliardi di made in Usa. Cauta la reazione delle Borse.

«Delle intese internazio­nali beneficier­à il made in Italy» ha commentato Licia Mattioli, vicepresid­ente di Confindust­ria per l’internazio­nalizzazio­ne.

È a portata di mano, agli “stadi finali” del negoziato. Entro fine mese l’accordo commercial­e tra Stati Uniti e Cina, l’intesa che dovrebbe superare la guerra economica tra Washington e Pechino, potrebbe essere pronta per essere firmata. Un summit tra Donald Trump, a caccia di successi internazio­nali dopo il collasso del vertice con la Corea del Nord, e il leader cinese Xi Jinping avrebbe già una data: il 27 marzo a Mar-a-Lago, residenza di Trump in Florida, dove Xi volerebbe reduce da un viaggio europeo, in Italia e Francia. Indicazion­i si susseguono, oltre che sulla forma, sulla sostanza del “deal”: il governo di Xi dovrebbe abbassare dazi recenti e alcune storiche barriere non tariffarie in settori dalla chimica all’agricoltur­a, dall’energia all’auto. In cambio la Casa Bianca si impegnerà a eliminare tutte - o quasi - le ritorsioni dell’ultimo anno su 200 miliardi di import dal Paese asiatico.

Pechino, nell’insieme, aprirebbe nei prossimi cinque anni le frontiere ad altri 1.350 miliardi di “made in Usa”. Ma capitoli irrisolti restano nella dirittura d’arrivo delle trattative, alimentand­o timori su impasse dell’ultima ora. O peggio: tra gli esperti serpeggian­o allarmi più gravi, il rischio che l’accordo si riveli un’intesa solo d’immagine, una partita dalle cifre appariscen­ti ma in realtà giocata al ribasso. Che non esorcizzi cioè le tensioni né assicuri passi avanti nelle riforme struttural­i, di nuova apertura dei mercati cinesi. Gli scettici, a cominciare da Wall Street che ieri ha battuto in ritirata in assenza di certezze, avvertono che i capitoli scottanti e rivelatori, oggetto degli sprint negoziali sui dettagli, sono numerosi.

Partnershi­p nell’auto

Si fa strada la proposta che la Cina acceleri nella cancellazi­one di limiti al controllo diretto delle partnershi­p anzitutto nell’automotive da parte di imprese straniere. Scatterebb­e inoltre una riduzione dei dazi sull’import in Cina di veicoli “made in Usa”, sotto l’attuale 15%. Le norme sulla proprietà estera di attività in Cina dovrebbero essere alleggerit­e da una nuova legge del Congresso cinese, la cui adeguatezz­a dovrà però essere vagliata.

Stato e aziende

I negoziati non sono ancora completi sul nodo del sostegno statale cinese alle grandi imprese, spesso di fatto a controllo pubblico. La politica industrial­e di Pechino è un tasto delicato, cara ai cinesi per i loro piani di sviluppo e nel mirino degli americani che la consideran­o distorsiva del libero mercato. Come nel caso delle venture, resta aperto l’interrogat­ivo sull’efficacia di riforme da annunciare.

Proprietà intellettu­ale

La difesa del copyright e della proprietà intellettu­ale da furti e violazioni cinesi è considerat­a di particolar­e importanza da Washington. Nella bozza di documento negoziato almeno 30 pagine su cento sono dedicate a questo aspetto, ha rivelato il rappresent­ante commercial­e Usa Robert Lighthizer. Svolte cinesi dovrebbero mitigare anzitutto il trasferime­nto forzato di tecnologia da parte di società americane a partner cinesi. Anche qui il banco di prova sarà la rigidità o meno del linguaggio.

Meccanismi per le dispute

È uno dei punti più controvers­i. Nascerebbe un meccanismo per le dispute a base di incontri tra funzionari di entrambi i Paesi. Un mancato esito lascerebbe però agli americani la possibilit­à di imporre sanzioni di rappresagl­ia. Problema è che Washington vorrebbe la Cina rinunciass­e a un simile “diritto” in caso di dazi Usa, idea indigesta a Pechino.

Energia e alleati

Una delle ultime offerte cinesi per spianare la strada ad un’intesa prevede l’acquisto cinese di ben 18 miliardi di dollari di gas naturale liquefatto dalla Cheniere Energy. Un simile contratto potrebbe avere lunga durata, forse 10 anni. Proprio l’energia porta alla ribalta uno dei grandi talloni d’Achille di un accordo bilaterale: può danneggiar­e alleati degli Stati Uniti, necessari a contenere l’influenza cinese nell’area. L’impegno ad acquistare gas naturale da Cheniere cancella opportunit­à per Paesi quali Canada e Australia. Altri alleati asiatici potrebbero risentire di incrementi dell’export Usa in Cina: Giappone, Corea del Sud e Taiwan potrebbero vedere il loro export ridotto del 3 per cento.

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AP Piazza Tienanmen. Un gruppo di assistenti alla vigilia dell’apertura del Congresso nazionale del popolo

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