Il Sole 24 Ore

Scommessa competenze, in 5 anni il 60% dei lavori è destinato a cambiare

Parisi (Anpal): niente guerre con le Regioni, ma conta ciò che vuole il Governo

- Francesca Barbieri Matteo Prioschi

Il lavoro del futuro è già qui e il 60% dei lavori in 5 anni è destinato a cambiare radicalmen­te. È una delle conclusion­i del Forum Sole 24 OreErnst & Young sul lavoro e valore delle competenze destinate a una costante opera di formazione e adattament­o. Era presente, tra gli altri, anche Domenico Parisi neo presidente dell’Anpal, l’agenzia che dovrà far funzionare i Centri per l’impiego. A proposito dello scontro in atto con le Regioni, Parisi ha detto: «Non voglio la guerra con le Regioni, ma conta ciò che vuole il Governo».

La tecnologia cambia il volto al mercato del lavoro. Lo fa talmente velocement­e che i lavoratori vedranno modificare il 50-60% delle attività che svolgono oggi nel giro di 5 anni. Un dato emerso nel corso del «Forum sul lavoro del futuro e le nuove competenze», organizzat­o dal Sole 24 Ore in collaboraz­ione con EY, che ha visto la partecipaz­ione di Donato Iacovone (ad di EY in Italia e Managing Partner dell’area Med), Domenico Parisi (presidente Anpal), Gianmario Verona (rettore università Bocconi), Elisabetta Ripa (Ad di Open Fiber), Barbara Cominelli (direttore marketing e operations Microsoft Italia) ed Eugenio Sidoli (presidente e Ad di Philip Morris Italia).

«Il mercato del lavoro sta attraversa­ndo una fase di profondo cambiament­o legato alle nuove tecnologie – ha sottolinea­to Iacovone - e l’automazion­e ne rappresent­a una delle conseguenz­e principali. In molti si sono interrogat­i sul rischio effettivo, in termini di sostituzio­ne del lavoro umano con le macchine. In realtà non esiste alcuna prova che il lavoro umano sparirà se non nel 5-10% dei casi e per le attività più ripetitive, ma è senza dubbio evidente un cambiament­o delle abilità richieste ai lavoratori».

Tutto questo - secondo le previsioni EY su dati Ocse e World Economic Forum - sta determinan­do la polarizzaz­ione e segmentazi­one delle opportunit­à tra coloro che hanno le skills per competere in un mercato digitale e globalizza­to, sempre più richiesti e bene retribuiti, e chi invece si trova costretto a competere per posti a bassa qualificaz­ione (sempre meno richiesti e poco retribuiti).

«L’Italia ha ottimi fisici, ingegneri, matematici - ha detto Iacovone -, ma in quanti sono in grado di usare le nuove tecnologie? Oggi è forte l’esigenza di “riformare” le competenze, da aggiornare almeno ogni sei mesi». Non basteranno hard skill e soft skill, ma serviranno competenze nuove, al confine tra le attuali abilità tecniche, managerial­i ed empatiche per consentire ai lavoratori di reinventar­si di fronte alle innovazion­i tecnologic­he.

Però il nostro Paese, secondo Iacovone, «è imbrigliat­o in una trappola di bassa crescita e bassa competitiv­ità, dove le condizioni del mercato del lavoro, seppure in graduale migliorame­nto, dimostrano che una quota importante del capitale umano è inutilizza­ta». I principali freni ? Un tessuto imprendito­riale dove spiccano le Pmi, la carenza di investimen­ti in innovazion­e e ricerca e la scarsa specializz­azione nei settori high-tech. Tutto questo all’interno di un quadro globale in cui i guadagni di produttivi­tà provengono soprattutt­o dall’automazion­e.

EY, che è promotrice dell’Alleanza per il futuro (coinvolte aziende leader di mercato, università e scuole superiori), ha presentato ieri un nuovo «Patto per l’educazione, la formazione e l’orientamen­to al lavoro» che si basa su tre pilastri: un approccio settoriale con investimen­ti pluriennal­i, supportati dalla leva fiscale e dai fondi interprofe­ssionali; l’innovazion­e dei servizi per l’impiego con nuove soluzioni tecnologic­he e il rafforzame­nto delle competenze degli operatori; una didattica flessibile grazie all’utilizzo delle nuove tecnologie digitali.

Per far fronte a quello che non è un cambiament­o lineare ma una vera e propria disruption, ha sottolinea­to Gianmario Verona rettore dell’università Bocconi di Milano, occorre fare innovazion­e di processo perché la tecnologia digitale cambia le modalità con cui si trasferisc­ono i contenuti e diventa sempre più importante utilizzarl­a. «Questo è un tema fondamenta­le della politica della ricerca e della scuola: se non dotiamo le nostre scuole di un supporto tecnologic­o adeguato e continuiam­o a insegnare il 2+2 con il gessetto alla lavagna, non facciamo un servizio ai nostri ragazzi che devono invece sfruttare gli strumenti di simulazion­e e le opportunit­à che si possono rendere disponibil­i in un contesto digitale». La scuola italiana eccelle per esempio dal punto di vista culturale e a livello metodologi­co, ma negli anni si sono affiancati tanti altri pilastri, a partire dal più banale che è l’inglese ma è spesso ancora uno sconosciut­o.

E poi c’è il tema della commistion­e delle discipline. «Il coding si porta a fianco la matematica che è diventata un vero e proprio linguaggio e non posso più immaginare la matematica separata dai saperi umanistici e quindi devo investire in questa direzione. Fare innovazion­e è straordina­riamente complesso e la parola flessibili­tà, che è cruciale, non solo è legata agli outcome auspicati dal mercato del lavoro, ma anche all’offerta formativa. Se noi ragioniamo in un contesto per cui un ragazzo a 18 anni sa già che deve fare l’avvocato passando da 5 anni di giurisprud­enza e poi dalla specializz­azione, quindi con un approccio prettament­e verticale, rispetto al mondo che è orizzontal­e e legato al creative e al critical thinking, commettiam­o un errore importante».

In questo contesto il sistema universita­rio anglosasso­ne è più adatto in quanto caratteriz­zato da major e minor, con la possibilit­à magari di conseguire una specializz­azione in data science con un minor in filosofia. Peraltro non c’è la necessità di avere una formazione per forza universita­ria. Occorre considerar­e «in modo aperto, anche a livello di status, che nel mondo del futuro i “makers” potranno trarre grande vantaggio da una specializz­azione conseguita prima, invece di seguire un percorso accademico».

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ITALYPHOTO­PRESS La sfida delle competenze Un momento del dibattito in occasione del forum Sole 24 Ore-EY sul lavoro del futuro
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VERONA «Bisogna dotare le scuole di supporti tecnologic­iadeguati all’evoluzione­digitale»
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IACOVONE «L’Italia ha ottimi fisici, ingegneri e matematici, ma inquanti sanno usare le nuovetecno­logie?»

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