«Il libero scambio fa crescere il nostro export»
Non tutto è perduto per l’Italia che esporta. Anche se i venti del protezionismo soffiano forti. «Le imprese italiane sono a rischio, nell’attuale situazione politica ed economica globale - ammette Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria per l’internazionalizzazione -. Si riducono le opportunità di esportazione: e se l’impatto per altri paesi potrebbe essere significativo, per noi potrebbe essere devastante». Esportare è però vitale. «Le imprese italiane – aggiunge – vivono di export: da anni il mercato interno è fermo, per noi andare all’estero significa aprire nuove opportunità: basti pensare che le imprese attive e in salute nel made in Italy e nel made with Italy esportano tra il 65 e l’85% della loro produzione».
Affrontare questa sfida non è impossibile. «Nel 2017, quando abbiamo fatto squadra come sistema paese (Governo, Confindustria, Ice, Sace, Ambasciate) abbiamo ottenuto risultati migliori anche di Francia e Germania, con un incremento del 7,5% di export», spiega. Questa è dunque la strada da percorrere: «Occorre continuare a fare sistema per le esportazioni e per la conclusione di accordi di libero scambio: per noi questa è la soluzione. Non possiamo negoziarli, ovviamente, come Paese, perché le trattative avvengono a livello europeo, ma dobbiamo spingere perché si facciano».
I risultati delle ultime trattative sono stati peraltro positivi; malgrado un diffuso scetticismo. «Prendiamo l’accordo con la Corea: l’intesa è entrata in vigore sette anni fa, è stato abbattuto quasi il 99% dei dazi, e c’era una grande preoccupazione per la possibile concorrenza, in molti settori. Soprattutto nell’auto. Eppure proprio in questo settore le esportazioni sono aumentate del 300% menre l’import è aumentato del 41%. Nelle calzature, l’export si è intanto incrementato del 188%. In generale, le esportazioni sono salite del 47,5% mentre le importazioni sono aumentate del 4,1%». Le imprese italiane non devono quindi temere la competizione. «Anche in un paese come la Corea, in cui la manifattura ha un costo molto inferiore rispetto a quella italiana, siamo in grado di competere: gli imprenditori italiani hanno dimostrato di poter vincere quando si trovano in un libero mercato».
La Corea non è l’unico esempio. L’accordo con il Canada (il Ceta) è più recente: solo un anno di applicazione provvisoria (non tutti i paesi lo hanno ratificato, e l’Italia è tra questi). «Anche se il 2018 non è stato un anno brillante come il 2017, e l’export è cresciuto a un ritmo dimezzato, l’Italia ha realizzato in Canada un aumento dell’export del 6,5% con picchi del 15% per alcuni settori, come l’abbigliamento, o il farmaceutico (+14%), mentre i formaggi e latticini sono cresciuti del 27%. L’import dal Canada è diminuito del 2,6%», spiega Mattioli. I critici contestano il fatto che l’intesa protegge poche indicazioni geografiche (Ig). «Peccato che queste 42 Ig rappresentino il 95% dell’export di Ig in Canada», aggiunge.
Promettente, secondo Mattioli, è anche il Trattato con il Giappone, l’Epa. «Si prevede un incremento dell’export del 13% circa (circa 13 miliardi di euro aggiuntivi), a regime, ma la cosa più interessante è l’abbattimento di alcune barriere non tariffarie, come l’apertura degli appalti per le imprese europee. Anche se il mercato giapponese è maturo, i consumatori adorano poi i prodotti italiani, soprattutto i piccoli brand di nicchia di cui siamo particolarmente ricchi».
Questa è dunque la strada da percorrere. Anche nei confronti degli Usa, secondo Mattioli. Se il Ttip è “morto”, sembra alla portata della Ue un accordo “minore”: «Noi siamo assolutamente favorevoli e spingiamo il governo italiano perché vada a spingere l’Europa su queste tematiche. Per noi vuol dire, di nuovo, bypassare le tensioni protezionistiche così forti in questa fase e, soprattutto, evitare che nella lotta tra Cina e Usa (che sembra possa trovare una soluzione a breve, ma nel piu lungo periodo resta una relazione conflittuale) rimanga schiacciata l’Europa e quindi l’Italia. In questo momento si prospetta un trattato limitato ai dazi industriali, lasciando fuori le questioni dell’agricoltura, che creano molti mal di pancia. Siamo favorevoli: concludere un accordo solo industriale, per noi imprese europee significherebbe un risparmi odi 2,2 miliardi di dazi pagati, e si presume chele esportazioni aumenterebbero del 10%». La domanda, ineludibile, è quanto questo governo possa assecondare le domande di Confindustria. Matti oli è ottimista .« Dopo un inizio un po’ difficile sul C eta, mi èsembratoch el’ approccio sull ’Epa si astato molto costruttivo e e ora ci aspettiamo lo stesso per quello con gli Usa».
‘‘ E adesso l’Unione europea deve spingere per avviare il negoziato commerciale con gli Usa e arrivare a un’intesa