L’aria di intesa tra Cina e Stati Uniti non scalda Wall Street
Borse tiepide nonostante la firma imminente di un accordo che metterebbe fine alla guerra commerciale: solo Shanghai festeggia, mentre gli altri listini restano cauti
L’accordo tra Usa e Cina sui dazi commerciali potrebbe essere vicino. Mancano l’ufficialità e, soprattutto, i dettagli. Eppure le Borse - eccezion fatta per l’esuberanza di Shanghai che ha guadagnato il 3,2% tornando sopra i 3.000 punti - non hanno mostrato grande entusiasmo. Soprattutto Wall Street, che dopo un avvio in rialzo ha subito virato in negativo: un improvviso balzo in avanti della volatilità (vedi articolo in basso) ha infatti mandato in ribasso la Borsa americana. A causa anche di un dato macroeconomico deludente: a dicembre le spese per l’edilizia sono calate dello 0,6% a fronte del +0,1% atteso. I listini europei invece hanno reagito con un guadagno modesto (+0,15% in chiusura per l’Eurstoxx 50).
Eppure la più grande preoccupazione degli investitori, cioè la guerra commerciale, è praticamente superata. Ci sono infatti tutti i segnali perché la tregua di 90 giorni concordata tra Washington e Pechino in occasione del G-20 di Buenos Aires a dicembre abbia portato i suoi frutti. A questo punto le due superpotenze potrebbero mettere una pietra sopra una disputa che va ormai avanti da quasi un anno, precisamente dallo scorso aprile quando gli Usa annunciarono una prima tranche di dazi del 25% su 50 miliardi di merci cinesi .
Come mai la notizia di importanti passi in avanti tra Washington e Pechino non ha spinto gli investitori a festeggiare? «Le incognite sull’operazione tuttora permangono. Molto dipenderà dai dettagli dell’eventuale accordo - spiega Vincenzo Longo, strategist di Ig -. Tra l’altro gli operatori sono stati un po’ richiamati alla prudenza da qualche recente affermazione di Trump secondo cui una volta che l’accordo sia firmato, è necessario che la Cina mantenga le promesse, altrimenti si tornerà alla rottura».
Non va poi dimenticato che le Borse hanno già recuperato molto terreno dai minimi di fine dicembre. Da allora la capitalizzazione globale dei listini è salita di quasi 11mila miliardi avvicinando la soglia dei 78mila miliardi. Da inizio anno Piazza Affari ha guadagnato il 13%, Francoforte il 10%. In recupero anche Wall Street, con l’S&P 500 tornato per la quarta volta a testare la soglia (finora mai rotta) dei 2.800 punti grazie a un rimbalzo di 12 punti percentuali.
Tra gli analisti c’è chi, come Ubs, vede spazio per un’ulteriore crescita delle Borse, nell’orbita del 10%, non appena l’accordo sui dazi sarà effettivamente portato a casa. A quel punto l’azionario potrebbe tornare ad esprimere i valori precedenti alla guerra commerciale. A fine gennaio 2018 i listini capitalizzavano infatti 87mila miliardi di dollari: quel picco - massimo di tutti i tempi - è ad oggi ancora parecchio lontano. Il recupero dei listini in questo primo scorcio del 2019 non è solo legato ai progressivi segnali di schiarita - scanditi dai tweet di Trump - su dazi. Ma è stato galvanizzato dalle nuove promesse delle banche centrali. La Bce si avvia a iniettare nuova liquidità attraverso un pacchetto di prestiti agevolati (T-Ltro). E la Federal Reserve ha cambiato rotta sui tassi, annunciando «prudenza». «Tra dazi e banche centrali le aspettative dei mercati sono state ben caricate negli ultimi due mesi e questo spiega il rally delle Borse da inizio anno sottolinea Antonio Cesarano, analista di Intermonte sim -. Ecco perché ieri hanno reagito in modo prudente. Ora gli investitori aspettano i fatti, tanto dall’accordo Usa-Cina che potrebbe arrivare però il 27 marzo, cioè alla fine del Congresso del partito comunista, tanto dalle banche centrali».
Da questo punto di vista decisiva potrebbe essere la riunione della Bce in programma giovedì, proprio sull’eventuale annuncio del piano T-Ltro. E poi il 20 marzo toccherà alla Fed. Un’eventuale fine della guerra dei dazi, e di conseguenza lo slancio alla crescita che ne deriverebbe, potrebbe spingere la riserva federale a rivedere, in senso più restrittivo, la politica monetaria. E questa non sarebbe una buona notizia per gli investitori.