Il Sole 24 Ore

Troppe incertezze per i sostituti d’imposta

Nessuna garanzia che la società estera non sia costruita artificios­amente

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Uno degli aspetti delle sentenze emesse dalla Corte di giustizia nelle “cause danesi” che ha maggiormen­te colpito è l’affermazio­ne che, alla luce della necessità di far rispettare il principio generale di divieto di pratiche abusive, le autorità nazionali devono negare il beneficio dei diritti previsti dalle direttive, invocati fraudolent­emente o abusivamen­te anche in assenza di disposizio­ni anti-abuso, nazionali o convenzion­ali (cause riunite C-116/16 e C-117/16, par. 83 e C-115/16, C 118/16, C 119/16, C 299/16, par. 111). Peraltro, per l’Italia il problema non dovrebbe porsi perché per quanto riguarda i dividendi, l’articolo 27-bis, comma 5 del Dpr 600/73 contiene uno specifico rinvio alla clausola antielusiv­a generale di cui all’articolo 10-bis dello Statuto del contribuen­te; per quanto riguarda gli interessi e le royalties, dopo l’abrogazion­e dell’articolo 37-bis del Dpr 600/73 – che contemplav­a la materia nella lettera f-ter del comma 3 – si deve intendere che si applichi ugualmente l’articolo 10-bis dello Statuto.

Un altro aspetto molto importante delle sentenze consiste nello sforzo di fornire (si vedano, rispettiva­mente, paragrafi 98 e seguenti e 125 e seguenti delle due sentenze) una elencazion­e di “indizi” idonei a caratteriz­zare le pratiche abusive (si veda la scheda in alto). Trattandos­i di una elencazion­e (certamente non esaustiva) di indizi da esaminare, peraltro, nel complesso e caso per caso, non vi è dubbio che venga richiesta sia ai contribuen­ti, sia all’amministra­zione finanziari­a una capacità di analisi piuttosto sofisticat­a, il che è causa inevitabil­e di incertezza.

La posizione più delicata, a questo proposito, è quella del sostituto d’imposta che a volte, oltre a tutto, non è una società appartenen­te al gruppo (le direttive si applicano anche a consociate non controllat­e) o addirittur­a non coincide con il debitore del provento (si pensi al caso dei dividendi distribuit­i da società con titoli dematerial­izzati). In questi casi, le informazio­ni disponibil­i sul percettore del provento possono essere carenti e non è quindi per nulla facile comprender­e se si sia in presenza di costruzion­i di puro artificio. D’altro canto, l’Amministra­zione finanziari­a – quando non ritiene che siano applicabil­i le esenzioni previste dalla legge interna, dal diritto comunitari­o o dalle convenzion­i contro le doppie imposizion­i – solleva la contestazi­one in primo luogo nei confronti del sostituto l’imposta consideran­do, in genere, il sostituito come “coobbligat­o” (si veda, per l’Italia, l’articolo 35 del Dpr 602/1973).

Di norma, il sostituto d’imposta applica le ritenute ridotte previa acquisizio­ne di una certificaz­ione di residenza fiscale rilasciata dalle autorità estere accompagna­ta da un’attestazio­ne del percettore del reddito riguardo alla sussistenz­a di tutte le altre condizioni previste dal trattato, dalla direttiva o dalla legge nazionale.

Uno schema che può essere utilizzato è quello contenuto nel provvedime­nto 10 luglio 2013. Ma questo schema di autocertif­icazione non contiene alcuna attestazio­ne riguardo al fatto che la società estera che percepisce il reddito non faccia parte di una costruzion­e di puro artificio.

L’opzione per l’applicazio­ne della ritenuta piena, così costringe il contribuen­te non residente a chiedere il rimborso al Centro operativo di Pescara con i risultati noti a chi ha fatto questa esperienza.

Non potendosi, comunque, escludere in questo caso l’applicazio­ne di sanzioni amministra­tive, l’inconvenie­nte potrebbe essere evitato stabilendo che nel caso in cui lo sgravio delle ritenute sia negato dall’agenzia delle Entrate laddove accerti effettivam­ente un abuso, le penalità siano applicate direttamen­te nei confronti del contribuen­te, lasciando indenne il sostituto d’imposta, oltre al recupero delle imposte non applicate. Questo almeno nei casi in cui il contribuen­te risiede in uno Stato con il quale esiste un accordo di collaboraz­ione, anche convenzion­ale, per l’accertamen­to e la riscossion­e dei tributi.

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